Questa settimana nel mio web coesistono due universi: quello di cRust a Torino e la situazione delle testate giornalistiche italiane - con un riferimento preciso alla vicenda Everyeye che decide di fare un conteggio degli stupri in One Piece, come fosse un argomento su cui fare i classici listicles. Adesso vi racconto tuttecose.
Ciao, sono Anna e stai leggendo anneddoti, la newsletter che si è rotta il cazzo di dire le cose che si dicono da anni sul web per elemosinare la vostra attenzione. Questa newsletter parla di riflessioni su vita digitale, social e altre cose varie. *fine sigla*
Per chi è al di fuori della bolla videoludica / del giornalismo di settore, Everyeye ha postato un articolo intitolato “Quanti stupri ci sono stati in One Piece? L’elenco dei personaggi certi e presunti” a firma di uno dei collaboratori della testata. Dopo 24 ore di ovvio sdegno popolare, Everyeye butta giù il contenuto, si scusa e allontana Amedeo Sebastiano, ossia il redattore che aveva scritto il pezzo. A seguire, tramite social, il caporedattore si scusa per l’accaduto e fa sapere che era sua responsabilità, ma non ha approvato la pubblicazione e quindi è andato online a sua insaputa. La vicenda è chiaramente problematica già da questo piccolo riassunto, ma vediamo un po’ di dettagli che rendono la situazione agghiacciante da un lato e ridicola dall’altro:
Per le donne, naturalmente, è da tenere in conto la possibilità di essere violentate.
Dice lui, applicando lo stile Aranzulla che ha fatto più danni di quanti problemi risolti grazie al suo sito ad un argomento che non pensavo potesse essere tematica da tier list.
Grazie bro, ce ne siamo accorte, che c’è questa alta probabilità di essere violentate. E anche uccise, visto l’ultimo femminicidio.
La cosa ridicola invece sono le scuse del caporedattore, fatte dosando un po’ di giustificazioni, dell’imbarazzo, del dispiacere e una promessa finale a fare meglio salvo poi crollare al confronto con chi commentava, accusando alcuni di non aver letto o saputo capire - chiara cosa da fare quando sei in torto marcio e non sai rispondere alle argomentazioni della gente (sono ironica).
È evidente che ci sia un problema di modello di business delle testate giornalistiche. Questo è sotto gli occhi di qualsiasi utente del web: a fronte di una sostenibilità garantita solo dal circuito di advertising, la strategia per arrivare a più click è arrivare a più persone e lo fai attraverso motori di ricerca e piattaforme social. Ma come conquisti le vette, come conquisti l’engagement? Facciamoci caso: non parliamo più di clickbaiting e fake news, ma sappiamo perfettamente che abbiamo cliccato un titolo “provocante” e trovato un contenuto che distorce ed esagera una notizia, o la manipola per far sì che venga letta in modo dannoso. Dovremmo iniziare a chiamarle malware, come i software brutti e cattivi, invece no, è diventato questo il modo standard di fare giornalismo su internet. Noi sappiamo che il modo in cui sono scritte non è etico né corretto. Solo che facciamo spallucce, e chi ne soffre lo mette nella pila dei problemi che bisogna risolvere tra qualche tempo; chi invece vive facendo questo probabilmente si concentra solo nella performance stessa, ossia: scrivo come vuole l’algoritmo e otterrò più click.
Anni fa mi capitò di guardare un intervento di qualcuno di Google che diceva una cosa molto scontata che però in quel momento mi risultò illuminante, perché di fatto mi sembra che tutt’oggi ragioniamo al contrario: più o meno affermava che gli algoritmi sono fatti e pensati per aiutarci, venirci incontro, soddisfare le nostre esigenze. In poche parole, non dovrei essere io a scrivere i contenuti per Google, dovrebbe essere lui ad adattarsi ad uno stile di scrittura più “umano”, che è più o meno quello che è successo nel corso dei vari aggiornamenti, ma non totalmente - e qui mi fermo perché non voglio parlare di cose di cui non mi sento totalmente competente e preparata e mi scuso se ho detto qualche inesattezza.
La situazione è molto più complessa di quel rudimentale concetto che avevo preso e posato sul piedistallo dei miei pensieri che riguardavano la SEO (le tecniche di ottimizzazione per i motori di ricerca), ma nel mio mondo mentale perfetto la tecnologia si adatta alle esigenze degli utenti. We live in a society capitalista, però, e quindi devo fare i conti con la realtà: il modello nel nostro mondo virtuale dà priorità ai soldi, anche a discapito nostro.
Un anno fa scrivevo questo, per parlare della UX delle piattaforme social:
Su Twitch, nel momento in cui sei davanti a una telecamera con centinaia di persone che ti scrivono cose che boostano l’autostima, il numero delle visualizzazioni, che è in alto, quasi scompare se hai una chat attiva, se i sound alert continuano ad arrivare, se le donazioni continuano a salire. Twitch basa la sua UX sulla gamification – e la live è un videogame capitalista che streamer e pubblico giocano insieme.
(qui se volete leggere tutto)
Qualche giorno fa leggevo la pubblicazione di
che scriveva del cambiamento della home di Google. Vi consiglio di leggere questo suo pezzo perché molto interessante, ma intanto vi lascio un’altra citazione qui:Oggi, per alcune ricerche che facciamo da un po’, non troviamo risposta. È diventato troppo complesso farlo con qualsiasi strumento tecnologico tanto è vero che molti, su casi specifici, sono tornati al passaparola. Anzi di più, al chiedo ad un amico o amica.
Ciò che c’è da focalizzare è che al mondo delle informazioni che è diventato molto liquido, stiamo piano piano aggiungendo anche il mondo delle soluzioni.
Tutto ‘sto giro per dirvi che siamo consapevoli che qualcosa sta cambiando e deve cambiare. Ma attualmente siamo qua, da anni, a convivere con una situazione insostenibile, sia a livello economico che a livello etico. Everyeye si scusa per questa conta degli stupri e indirettamente per altri contenuti problematici, ma di base sembra esserci una rassegnazione comune: quella che vede inevitabile episodi del genere.
Ma a fronte di una paga fissa che spesso non raggiunge nemmeno le due cifre e non a click come anni fa su alcune testate, qual è il senso di fare una lista sugli stupri per un redattore?
Viene da pensare probabilmente e considerando la strategia adottata dalla testata che va aperto Google Trends e trovare il modo per unire l’anime in voga con le notizie di oggi, letteralmente come modus operandi per continuare a lavorare e che quindi non sia colpa del singolo, problematico: non è l’eccezione, è la prassi.
A fronte di piattaforme che hanno vari gradi di permessi, come faccio a credere nel 2023 che un collaboratore freelance abbia la possibilità di premere un tasto pubblica?
E cosa fa un caporedattore, un responsabile di sezione, in una delle testate di settore più grandi d’Italia? Oltre chiaramente a fare un po’ l’influencer, un po’ il content creator, un po’ lo streamer, un po’ l’editorialista e boh, non so cos’altro?
Si parla tanto di professionalità e nella bolla di chi lavora scrivendo, specie su siti a tema videogiochi, si battono spesso i piedi a terra per essere considerati professionisti degni del termine. Eppure succedono cose del genere, e il responsabile non fa il responsabile e non sa sostenere una discussione su un problema di cui si è fatto carico pubblicamente.
Quindi oltre al problema tecnologico di un algoritmo che premia i contenuti che seguono le linee guida della SEO e altri modi di essere sempre in vetta, ché parlando solo di videogiochi in italiano non si fattura poi così tanto, abbiamo anche un settore immaturo professionalmente, poca etica e ovviamente zero formazione e sensibilità.
È difficile regolamentare una tecnologia e quando lo si fa c’è il rischio che sia fastidioso, inutile e ridicolo, come i banner per i cookie; a quanto pare lo è altrettanto educarci al potere delle parole e cosa significa pubblicare un conteggio di stupri sull’anime in voga del momento, cosa che avremmo dato per scontato fosse terribile, ma forse, nella distopia in cui viviamo in cui da una rivista per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne vengono chiamati a parlarne 18 uomini etero cis bianchi.
Ma cosa c’entra cRust, direte? Per chi fosse fuori dal giro TikTok Italia, uno dei trend del momento è partito da un semplice video di una pizzeria torinese (cRust, appunto), che aveva pubblicato un video in cui faceva vedere la distanza che c’era tra la Mole e il locale, percorrendola in fast-forward, con una pizza in mano.
Da qui, la mia riflessione. Nella mia testa questa coesistenza è così composta: da un lato c’è l’imprevedibilità della cosa che ti fa andare virale e dall’altra c’è una corsa all’ultimo strillo per accaparrarsi quei click certi. Estremi di un web senza regole e totalmente in mano a piattaforme poco trasparenti che devono macinare soldi anche solo banalmente per potersi permettere di tenere accesi i server in cui ci sono le foto del signor Salvatore a pranzo con i suoi parenti anche se ha negato a Facebook il permesso di utilizzarle a fronte di un mancato pagamento dell’abbonamento mensile.
Cosa possiamo fare in qualità di persone che lavorano nel digitale? Io non posso vendere ai miei clienti la promessa che domani i video che faremo andranno virali. Ma quello che posso fare è costruire una comunicazione etica, giusta, rispettosa di tutte le diversità e mai escludente e elaborare strategie che includano questa modalità di parlare nel digitale. E cercare il più possibile, quando e se si ha la possibilità di farlo, di allontanarsi dalle realtà che applicano principi che vanno contro tutto questo. Ma ancora, posso permettermi di dirlo perché non sono l’amministratrice delegata di una testata con il business model dell’advertising. Quindi non ci resta che sperare in un cambio di homepage dei motori di ricerca, per porre fine a questo schifo? Chissà.
Piccola ed insignificante nota a margine.
Il buon redattore di Everyeye esibisce una bella dose di infantile ingenuità, quando scrive che "Per le donne, naturalmente, è da tenere in conto la possibilità di essere violentate". Un'ingenuità pericolosa, ben inteso, che dimostra un'idea della violenza sessuale da video-game, quando invece è di fatto un'arma usata senza parsimonia a carico di tutte le potenziali vittime, uomini, anziani e bambini compresi.
Una superficialità che trasforma un delitto sociale, rispetto al quale si sta facendo poco o niente, in una curiosità da rivista di gossip, come la copertina di "Grazia" conferma. "Cronaca Vera" era giornalismo d'inchiesta, a confronto.
Concordo con Giorgio Taverniti, perché il mondo dell'informazione si è trasformato in mondo della comunicazione, dove non esistono più soluzioni ma solo prodotti da acquistare.