Se sbagli sui social, cosa succede?
Ciao, k fate? Io sto scrivendo la newsletter. Alle volte penso che dovrei impegnarmi di più, che dovrei farci una strategia su visto che lo faccio letteralmente per lavoro e poi penso se non lo faccio per me, so fare questo lavoro? È in quel momento che decido di mettere play a questo e disattivare i miei neuroni. Oggi parliamo di callout e di cosa è giusto fare quando leggiamo cose che riteniamo pericolose (spoiler: non c’è qualcosa di giusto).
Quante volte vi è capitato di dire una minchiata sui social? Forse spesso, ma fortunatamente la maggior parte di noi non ha bisogno di un’agenzia di PR specializzata in gestione della crisi per far fronte a un errore di comunicazione sul nostro account da poche centinaia di follower, tra cui la zia Cettina e il proprio genitore con l’account inattivo. E quante volte capita di leggere chi seguiamo fare dei post e delle storie che non sappiamo proprio da dove siano uscite? Questo succede almeno una volta alla settimana, volendo essere ottimistei.
*nota: uso minchiata per indicare un quantitativo illimitato di casistiche che hanno tutte lo stesso comune denominatore, ossia essere delle posizioni non in linea con l’etica… come lo dico? Se sei pro Israele stai dicendo una minchiata. Se dici di essere transfemminista ma poi dici che le donne amab hanno più patriarcato da decostruire, stai a di’ una minchiata. E così via.
La vita è complessa ma i social decodificano solo la polarizzazione
Per com’è costruito il mondo oggi, abbiamo troppa fretta e troppo poco tempo per approfondire gli argomenti; questo va bene ai luoghi virtuali, perché per come sono costruite oggi le piattaforme, non possiamo scrivere tutto quello che bisognerebbe dire su temi complessi in un formato storia. Per questo sintetizziamo. Nei caroselli. Nelle videostorie senza sottotitoli. E nella sintesi spesso risiede la polarizzazione. Giusto o sbagliato. Amore o rabbia cieca.
Eppure, la vita è così tanto complessa. La comunicazione, anche. Quella online, peggio mi sento. Ma a fronte di un consumo costante di contenuti affacciat* alla vita e al pensiero degli/delle altrie e la velocità, abbiamo davvero voglia di discutere online? Gli studi sul tema dicono di no, siamo principalmente lurker (ho trovato percentuali che vanno dal 90% al 99%). Quindi spesso ci ritroviamo a far nulla. O a scrivere commenti sotto i post incriminati.
A me è capitato l’altro giorno di sentire delle storie che ritenevo ingiuste. Sia nel contenuto, sia per chi lo stava pronunciando.
Puoi scrivere transfemminista in biografia e dire che le donne amab hanno più patriarcato da decostruire, ergo se si parla di spazi safe, bisogna essere solo donne (cis, sottinteso)?
Per me, no.
A questo punto ho fatto un paio di storie, incazzata. Perché nella mia testa dicevo: “com’è possibile che una persona alleata e in prima fila per queste tematiche dica questo?”.
Non le ho scritto in privato, perché fondamentalmente non la seguo e mi erano state linkate le sue storie. Ma a un evento ho beccato una nostra conoscenza in comune, e le ho parlato.
Dopo un’iniziale apertura, la persona in questione mi scrive in privato dicendomi: sorè, io non credo lei abbia sbagliato, ma tu piuttosto hai fatto delle storie abbastanza forti e non ritengo giusto tu le abbia fatte perché potevi tranquillamente parlarne alla persona in privato.
E io sono ancora divisa a riguardo. Qual è la procedura giusta in questi casi? Anche parlarne adesso, in newsletter, potrebbe far sembrare che sia l’ennesima occasione di fare content. Ma se non ne parli, rimani in questo limbo in cui ti chiedi quale sia la cosa giusta da fare in questi casi. La cosa che ha più impatto.
Sicuramente parlarne in privato non avrebbe cancellato le storie. Avrebbe probabilmente messo il dubbio nella testa della persona? Forse.
Quando è giusto usare l’atto del callout, ossia far notare pubblicamente a persona/personaggio X un comportamento scorretto/un’opinione pericolosa?
E poi, nel momento in cui si fa callout a una persona, le permettiamo davvero di riflettere sulla cosa o essendo le piattaforme costruite così, diventano un rettilineo perfetto per subire la camminata della vergogna e quindi con poche occasioni di riflessione, trasformando tutto in una guerra me contro loro?
Quindi alla cosa che ha più impatto dobbiamo affiancare anche la cosa che sia più efficace, che possibilmente porti la persona a riflettere sull’accaduto e rettificare.
Quante volte succede? Meno di quanto dovrebbe.
E intanto la vita è complessa, la comunicazione è complessa, è tutto un casino come al solito.
Il modo che funziona per me è parlarne pubblicamente, se il fatto è successo pubblicamente: perché ogni vuoto che lasciamo non rimane vuoto, ma viene riempito da voci, possibilmente che parlano al posto nostro, con parole che non diremmo mai. E questo, a me, non piace più da un bel po’.
Linkini carini
Stupenda campagna per la World Down Syndrome Day 2024: assume that I can.
C’è un’AI per tutto: anche quella che analizza i messaggi con il/la tuo/a ex e ti dice cosa è andato storto.
Kelly Rowland è ancora arrabbiata se ripensa al videoclip di Dilemma, in cui le hanno fatto inviare un sms con Excel.
Dicono sia ottimo per le trascrizioni audio.
Alla prossima, teleleggitory, statemi bene.