Scopri la ricetta dell'estate: Boiler Summer Cup, Instagram, i nostri corpi
Sì, sono io, di nuovo, non so come non mi sia ancora disciolta sull’asfalto romano, forse perché è più tiepido di quello milanese. Come stai? Cosa vuol dire: “che newsletter è questa”, stai leggendo anneddoti, ossia una sconosciuta su internet che ti parla di vita digitale, lgbtq+ e quello che le passa per la testa.
Riassunto per chi ha fretta: oggi parlo di corpi non conformi allo standard e internet. Della Boiler Summer Cup, dei corpi su Instagram, dell’estate che è praticamente arrivata e quindi del grande rispolvero di termini come fatfobia, body positivity e cose varie.
Una delle prime volte in cui mi iscrissi a Tinder, mi ricordo che misi una foto in cui mi piacevo particolarmente e una bio che diceva pressappoco così: “scrivimi se hai visto Black Mirror o Mr. Robot”, giusto perché indicare l’altezza e un paio di emoji non era ancora diventato lo standard comunicativo dell’app. Bastarono poche esperienze per farmi presto cambiare le poche righe che mi ero inventata, sostituendole con quella che mi accompagnò per un po’ di tempo su Tinder e che attualmente è la mia bio di Instagram.
Sono queer, nerd, donna e cicciona perché non mi piaceva fare parte di una sola nicchia discriminata.
Ho scoperto di essere cicciona molto prima di scoprire di essere donna. Lo sapevo perché mi veniva detto, a scuola, in classe; perché la mia famiglia amava farci battute sopra; perché lo leggevo in ogni sguardo; perché me lo hanno urlato per strada. Perché delle persone estranee nelle app di dating dovevano assicurarsi di star chattando con una persona con le giuste misure.
Quella bio mi ha protetta dalle persone che, al mio primo e ingenuo tentativo, si prendevano del tempo per parlare della sostanza del mio corpo. Quello slur, che mi è stato urlato per anni in strada, a scuola, da bambina, da adulta, è la parola per cui sicuramente tu che stai leggendo stai provando un po’ di imbarazzo. Non puoi parlare così di te. “Scema”, sussurrano amic- vari dopo aver letto e sorriso alla mia simpatica biografia. Visibilmente in difficoltà, di fronte a una persona che sente il dovere di prendersi in giro prima che qualsiasi altra possa fare anche un solo, minimo, accenno. Che arriva. Nelle forme più innocue, che sommate per 30 anni diventano una pila di traumi.
Per questo motivo, chiamare me stessa cicciona non è più grave che esistere, nella realtà e su internet, da persona grassa. Con un corpo non conforme. Curvy. Robusta. BBW. Qualsiasi altro termine che usate per definire me e tante altre persone come me.
L’intera popolazione del web si è già dissociata dal fenomeno della Boiler Summer Cup, uno di quei trend problematici come l’ingestione dei pods della lavastoviglie che, essendo manifestazioni estreme di disagio, vengono velocemente catalogate come “male” e dimenticate. Non dopo mille spiegoni su IG da parte di qualsiasi web celebrity che ci dice che siamo belle così come siamo e che questo fenomeno è terribile.
Quello però che non si dice è che ogni estremismo però è figlio di una cultura, e il motivo per cui esiste la Boiler Summer Cup non è perché “alcune persone sono proprio stupide e ignoranti”, ma perché come società non stiamo affrontando il problema della fatfobia.
Voglio fare l’attivista che con 10 slide vi spiega perché odiare le persone grasse è sbagliato? No, non stavolta. Stavolta voglio dirvi che provo rabbia, e non per l’ennesima challenge di merda dei social.
La provo perché sono anni che voglio scrivere di quanto schifo mi facciano gli sguardi della gente, quanto schifo mi facciano le persone che mi urlano per strada che sono “cicciona”, quanto mi ferisca non riuscire a farmi sfiorare da chi desidero o amo senza pensare che stanno toccando un corpo che nessuno vorrebbe toccare, quanto mi faccia male ogni battuta della mia famiglia a tavola, quanto mi spezzò il cuore sentirmi dire “se pesassi di meno mi sarei fidanzato con te” dal primo ragazzo per il quale ho provato qualcosa. Quanta ironia devo tirare fuori ogni volta che succedono le conversazioni come lo screen sopra, nonostante mi faccia stare male. E potrei continuare all’infinito. Non passa un giorno senza che qualcuno non parli della forma del proprio corpo o quello altrui.
Sono arrabbiata perché la Boiler Summer Cup parte da un “ti vedo bene” o “l’importante è la salute”.
Ma accusiamo i ragazzini di essere stronzi, senza farci un esame di coscienza.
Che non ci facciamo perché è così diventato normale odiare il grasso fuori e dentro di noi, che quando qualcuno posta una foto di sé felice, al mare, con l’hashtag #bodypositivity magari, parte lo sclero anche della persona più moderata tra di noi, per paura che si stia promuovendo uno stile di vita non sano.
E siamo le stesse persone che hanno feticizzato l’alcol così tanto che se non bevi vieni pure pres- in giro.
Siamo il frutto della cultura di Instagram, del bello; il bello ha dei canoni, il corpo non conforme non è bello. Punto. Lo abbiamo culturalmente accettato.
Perché di fronte a video come questo
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I commenti sono quasi tutti safe, ma la sfumatura è ben presente. In altri video, la reazione è netta: sei bona, dea, fammi tua.
Qui c’è un plauso soprattutto alla sua autostima. Perché i complimenti sono sempre circoscritti a qualcosa di preciso. “Bel viso” è diverso da “sei bellissima”. E non lo so solo perché sono una copywriter, ma perché ho sentito la differenza di chi me lo ha detto. Sottopelle.
Capite che abbiamo un problema così invisibile da non capire che lo è?
Ciao, questa è un’interruzione pubblicitaria. Se ti piace anneddoti, adorerai seguirla su IG, iscriverti al suo gruppo Telegram o donarle dei soldi affinché possa far diventare questo il suo lavoro full time e poter scrivere su LinkedIn che l’importante è volerlo ecc.! Puoi anche fare una cosa più veloce perché sharing is caring e quelle cose che mi fanno capire che non sei una persona indifferente di fronte alla grande necessità dei creator di farsi notare per poter diventare star e venire odiate successivamente dalle stesse persone che prima le seguivano perché non erano famose.
Uno dei tanti motivi per cui internet per molti anni è stata la mia casa, è perché il web dei primi anni duemila, per me, ha rappresentato l’assenza del corpo. Essere pixel mi ha permesso di abitare parole, dialoghi, pensieri, discorsi, prima di essere un individuo sulla faccia della terra dietro ad uno schermo. Ero sollevata di poter chiacchierare sospendendo pregiudizi e giudizi. Su di me, principalmente. Di non dover subire quella voce interiore che da bisbiglio è diventata una cantante d’opera lirica. È così forte, che mi fa tremare i vetri. Mi fa piangere. Non mi fa uscire di casa.
La Boiler Summer Cup, i corpi di Instagram e la fatfobia, fanno crescere nelle persone come me una rabbia indescrivibile, che molti continuano a sfogare nella dipendenza (molto spesso da cibo, perché no, non basta la forza di volontà quando si parla di disturbi dell’alimentazione ma non starò qui ad approfondire il tema), alcuni invece lo trasformano nel carburante per questa necessità di rivalsa.
Non c’è notte in cui non vado a dormire sognando di essere libera dalla fatfobia. Mia e degli altri su di me, su tutti.
Non c’è notte che non passa nella mia fyp (for you page, è la home di Tik Tok) almeno un video di una persona che racconta la sua “trasformazione”. Si parla di “revenge body”, si fanno le congratulazioni quando si arriva al risultato agognato, sono tutt- felici. Si parla di vendetta. Cioè, ma ci riflettete a cosa hanno portato anni di risate alle spalle delle persone grasse? A far covare rabbia e risentimento nella persona, che inizia un doloroso e lungo cammino spesso soprattutto per far sì che il mondo smetta di odiarla.
Odio, sì.
Ci sono studi scientifici a riguardo, sullo stigma verso le persone obese, ci sono testimonianze dell’attivismo… ma ve ne frega qualcosa? No. Vi interessa però la Boiler Summer Cup, perché quella è vergognosa, non dovrebbe esistere.
Ma non dovrebbero esistere nemmeno i vostri commenti sui centimetri in più dei vostri fianchi. Sulla depilazione che non siete riuscite a fare. Sul disagio del non avere “abbastanza seno”. Sull’essere troppo bassi, calvi.
Perché l’ossessione verso i nostri corpi ci riguarda tutti, i media l’hanno resa standard e Instagram e l’estate l’hanno inglobata in un rituale da performare anche online e se non decostruiamo il nostro concetto di bello e di star bene, la fatfobia non farà passi avanti. Noi non riusciamo ad amare i nostri corpi per quello che ci fanno vivere, per quello che ci fanno sentire, per le esperienze che facciamo con essi. Noi li classifichiamo, giudichiamo, cataloghiamo, squadriamo. Facendo e facendoci male.
Io sono stanca di essere grassa.
Ma sono anche stanca di sentirmi colpevole di esserlo, di fronte a una società crudele di fronte ai miei bisogni di essere umano, cliente e utente. Offline e online.
Io sono il mio corpo. Questo corpo che mi vuole bene, canta LRDL. Questo corpo a cui non voglio bene io, il più delle volte. Però c’è, esiste e mi fa vivere in questo mondo.
Il mio corpo non è un prima, non è un’attesa di trasformazione. Il mio corpo sono io.
Fonti e/o approfondimenti:
È il Pride Month!
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