Siete 300. Adesso posso urlare “this is Sparta!” come un vecchio meme? Comunque ciao amicy, mi chiedo perché vi siate iscritt* a una newsletter non aggiornata da cinque mesi, ma invece di farmi domande vi ringrazio per la fiducia e vi faccio accomodare in una nuova puntata di anneddoti, la newsletter che mando meno spesso delle mail di lavoro e che parla di vita digitale, social e cose mie varie ed eventuali. Io sono Anna, la vostra sconosciuta dell’internet preferita e dopo 152 giorni circa circa vi parlo di homepage.
Messaggio “promozionale”: con Outplayed Gaming, la società per cui sono Head of Contents, stiamo cominciando a fare degli eventi nella nostra sede. Mi piacerebbe fare cose con persone e realtà interessanti, unendo il mondo dell’intrattenimento alla vita di tutti i giorni. Scrivetemi se vi interessa organizzare panel, eventi, essere sponsor, fare branded content insieme, ciao <3
In questo folle prodotto capitalistico e forse cosa più studiata in futuro dalle eventuali prossime generazioni che noi chiamiamo internet, schiacciamo ormai poche volte il bottone “home”. Non vogliamo più tornare a casa - di fatto, quelle pagine iniziali non sono più un posto accogliente per nessuno - ma, quando ben fatti, potentissimi strumenti di vendita o di sequestro di persona, succhiando ogni nostro minuto libero grazie a meccanismi psicologici che ci condannano ad una slot machine fatta di aggiornamenti del feed e algoritmi pronti a calcolare il prossimo contenuto che ci terrà ancora di più dentro la piattaforma. Mi piace parlarne così non perché io sia pessimista, ma perché a volte credo che si abbia bisogno di guardare le cose come stanno sotto la patina glamour e “utile” dei social media & co.
Le homepage non esistono più; le nostre pagine sono “profili”, schedari dentro un enorme database e la nostra pagina principale è cucita su misura per noi. Non è nostra - è per noi.
Ma da dove nasce il termine “homepage”? Sir Tim Berners-Lee nel 1989 ha inventato il World Wide Web e con lui il primo browser per navigarlo, che chiamò - in maniera molto originale - WorldWideWeb. Grazie alle funzioni del NeXT computer, con cui aveva fatto tutte ‘ste cose, il browser poteva essere utilizzato sia per visitare i siti web, sia per modificarli grazie a un editor incorporato che poteva essere utilizzato per scrivere HTML. La visione di Berners-Lee era che tutti potessero avere il proprio piccolo spazio sul web (filosofia che credo sposi tutt’ora - in maniera diversa, con il suo Solid) che poteva essere pubblico o privato. Così all’apertura del browser, avremmo trovato il nostro sito al quale potevamo aggiungere le scoperte che avevamo fatto navigando nel web. Quello spazio fu chiamato “home”, perché di fatto era stato costruito con l’intento di essere la nostra casa digitale sul web. Questa funzione sparì presto nelle successive versioni del browser perché non erano più powered by il NeXT e i siti diventarono di sola lettura, pubblicarne uno richiedeva strumenti diversi e un minimo di capacità tecnica per farlo. Nuovi siti nascevano, e il termine homepage fu sostituito dalle pagine di benvenuto, le “welcome page” o le front page, le pagine iniziali. Ma nel 1994 ritorna in auge il termine, con i primi blogger che ancora non si chiamavano così ma di fatto raccontavano la loro vita in questa pagina personale, un misto tra Twitter degli anni d’oro e Splinder praticamente.
Riportano in vita il termine e in qualche modo il concetto di Berners-Lee, e contribuiscono al lancio della parola “homepage” che diventa così utilizzata da nemmeno più chiedersi perché si chiamasse così in prima battuta - visto che hanno smesso di essere “case” da tanto tempo.
Qual è la nostra casa digitale? Probabilmente i nostri gruppi WhatsApp e Telegram, con noi stessi in cui ci mandiamo gli appunti e riflessioni e liste della spesa - con gli altri, dove nutriamo le relazioni a suon di meme e oversharing di vita con vocali-podcast.
Per noi web creator, la nostra casa digitale sono gli spazi in cui possiamo decidere il colore dei bottoni e il nome della pubblicazione, ma è nostro? No. Siamo in affitto, come nella vita. Non possiamo permetterci l’indipendenza, come nella vita.
E non è necessariamente una brutta cosa, ci sono i vantaggi di far parte di un’ecosistema e dei co-living. Ma questa cosa probabilmente ci deresponsabilizza, e non ci fa sentire il posto come davvero casa nostra. E non ce ne prendiamo cura, di conseguenza.
Certo, poi ci sarebbe da aprire un capitolo a parte su questo concetto, ma non è questa la sede. O forse sì, ma fatelo nella vostra mente, ché io sto parlando di altro.
E forse questa è una delle tantissime motivazioni per cui non ci prendiamo cura degli spazi digitali - sono per noi, non nostri. Disegnati in base alle nostre esigenze, ogni giorno ci vanno sempre più vicini possibile. Come una casa - senza anima. Perché forse vogliamo che tutti siano d’accordo con noi, così come vogliamo quelle piastrelle lì nel bagno. Però un’unica voce rende sordi al mondo intero di voci, e rifare il pavimento costa troppo - meglio comprare con gli stessi soldi degli arredi che faremo vivere. Alla fine c’è differenza tra house e home, così come c’è differenza tra home e for you page, così come c’è differenza tra casa e abitazione. E la differenza la fa il cuore.
Il nostro cuore, online, dove lo mettiamo?