Mensola
Ciao teleleggitory, se non vi ricordate cos’è sta mail qua, voi state leggendo anneddoti, la scrive Anna, cioè io, la vostra sconosciuta dell’internet preferita. Oggi parlo de li cazzi miei, quindi potete anche skippare questa mail se non vi interessa leggere della mia mensola.
LinkedIn mi notifica che avrei dovuto leggere i consigli di chi si è trasferito 8 volte. Ho fatto lo screen per memarci su nelle storie di IG, aggiungere una frase dicendo “tell me about it”, qualcosa del genere ma in italiano; quest’anno ho fatto il settimo trasloco quindi mi sento autorizzata a ignorare l’ennesima notifica inutile del social dedicato al lavoro che pur di essere calcolato manda la qualsiasi per farsi usare da me. Entro, mi terrorizzo ed esco subito, ecco il mio rapporto con LinkedIn. Ma penso a questa notifica, oggi, perché stavo guardando la mia nuova mensola sulla TV, sulla quale ho iniziato a sistemare le prime cose.
Sette traslochi, e non ho mai avuto una mensola. Non l’ho nemmeno mai montata, sfuggendo dal cliché che vorrebbe la donna omosessuale capace di mettere in piedi l’intera IKEA. Eccomi sul divano, le lacrime scendono nel mio riflesso sulla TV spenta, guardando quel pezzo di legno pressato.
Ho 34 anni e ne ho vissuti 16 in case con le mensole altrui, case non a norma, case pericolanti, stanze subaffittate, stanze spoglie, case di altra gente, case di Airbnb, divani di amiche. Nella mia testa questo paragrafo sembra la canzone di Tiziano Ferro, che però si ferma a case, in loop. Con la valigia aperta, come armadio, come contenitore di tutta la mia vita sotto forma di oggetti. Senza TV, sui cuscini modellati per altre teste. Con coperte che non avevo mai scelto. Avviavo continuamente una generazione casuale di mondi e cercavo di abitarci. Io e la mia valigia. Sempre più grande, sempre più nascosta. Nelle cantine, negli armadi, sotto i letti o incastrata da qualche parte. Non potevo comprare nulla se non l’essenziale, perché se avessi dovuto abbandonare quel mondo, non avrei potuto portarmi dietro la vita che stavo costruendo.
Nei videogiochi diremmo che avevo selezionato la modalità Hardcore. Se muori, perdi tutto il tuo equipaggiamento. E così facevo. Ma poi è diventato fondamentale iniziare a comprare non solo ciò che era utile, ma ciò che mi aveva aiutata a definirmi, che risuonava in me. Oggetti multimediali che hanno modellato la persona che sono adesso. Così ho iniziato acquistando Mer de Noms degli A Perfect Circle, che contiene 3 Libras, che per quasi tutta la mia vita è stato il mio nickname sul web; ho comprato anche il vinile, perché Maynard James Keenan attorno a quell’album aveva creato anche un set di rune, per cui ogni lettera aveva un simbolo corrispondente e mi sentivo parte di questa mitologia che fondeva note, testi e dolore. In un mercatino di Friburgo ho trovato Flying Away degli Smoke City, totalmente a caso, nel periodo in cui ero in fissa con Underwater Love.
La mia ex mi regala i cofanetti DVD di Dark Angel, la serie che mi ha dato l’input per accedere a internet e iniziare a scrivere. Una mia amica mi regala un CD degli Skunk Anansie autografato da Skin. Post Orgasmic Chill ha accompagnato la me bambina, quando ancora non sapevo che Secretly non era solo una canzone, ma come avrei vissuto la mia omosessualità per molti anni. Come avrei vissuto me stessa fino ad adesso. Segreta-mente. Segregata, aggrovigliata tra le mie sinapsi. Non posso comprare una TV perché non guadagno abbastanza. Ma poi nemmeno la guardo, a cosa serve. I miei ex colleghi, ora amici, mi regalano la PS4 e io penso e mò dove la attacco. Il mio padrone di casa tira fuori una vecchia televisione. Ho PlayStation Plus e non possiedo nessun gioco, però posso scaricarli tutti. Sono in-potenza e di conseguenza in-potente, arriva la pandemia. Chiudo una valigia pronta a partire e vado via.
Passano degli anni e in questa casa oggi c’è una mensola sopra ad una TV: l’ho acquistata qualche settimana fa perché ho smesso di vivere dentro la mia valigia da un po’ e volevo concedermi il lusso di vivere la mia vita come se non dovessi scappare da un momento all’altro per i motivi più disparati. La mensola è arrivata a casa portata da un amico, perché io manco ci pensavo. Non l’ho mai avuta. Adesso c’è e vedo che è sorretta, è sospesa ma sicura e lì sopra ci ho messo tutto quello che ho detto e ancora qualcosa di più. Penso a quanto sia dolce, che qualcuno ti installi una mensola a casa, come per dire “ti sorreggo io” o “ti aiuto a mostrarti al mondo”.
E quindi penso a quelle mensole nella nostra vita che ci permettono di essere viste, sentiti, ascoltat*. Alle cose che ci succedono che ci portano a mostrarci. Penso a quanto un pezzo di legno in più possa fare la differenza tra una home e una house, direbbero gli inglesi.
Mi sento come se non fosse più necessario scappare. Non fosse più necessario vivere nei mondi degli altri, o farli generare casualmente perché non hai sbatti di costruire tutto.
E certo, non sarà The Sims con il cheat code dei soldi illimitati. Ma è, finalmente, una vita che smette di vivere in modalità Hardcore.
Che bello avere una mensola.