Ciao, vi sono mancata? Anche a me. Scrivere e voi e questo spazio. Prima di iniziare, volevo avvisarvi che nella mia scrittura pratico il linguaggio neutro. Siccome è una pratica, appunto, che vuole rendere i miei contenuti più accessibili possibile, non uso solo lo schwa, ma varie soluzioni: soprattutto molto impersonale e ove impossibile la chiocciola, il trattino, e a ‘sto giro ho provato a mettere in qualche parola entrambe le vocali (sposatei/ecc.). Non ho sbagliato, è intenzionale. Detto ciò, non vi faccio perdere tempo, ecco la puntata di oggi:
I social media fanno schifo. Questa sintesi un po’ da bar lascia fuori migliaia di considerazioni, roba da chiudersi a studiare per anni, roba che spero si affronti a scuola praticamente adesso, con la benedetta igiene digitale della quale scrivo ogni volta che mi fermo un attimo a riflettere con voi. Fanno schifo, ma non è del tutto colpa loro. Probabilmente starò scrivendo un mucchio di banalità, ma necessarie visto che in queste ore, complice la situazione Meta & SIAE, non si sa perché ma alcun- professionist- della comunicazione hanno iniziato a scrivere che dobbiamo mettere in sicurezza i nostri contenuti. Dico, a me sembra abbastanza scontato che siamo tuttei dipendentei di Meta & co., ma se ripeterlo serve, allora mi tocca scrivere cose che pensavo fossero di conoscenza pubblica.
Ho iniziato a guardare Fringe per la prima volta, con 12 anni di ritardo. Vedere i telefonini di allora, le foto super pixellate e il modo totalmente diverso di ricevere notizie mi ha fatto pensare a quanto è stato impattante per la nostra cultura il progresso tecnologico; nella sua forma più evidente, l’hardware, ci fa “strano” a vederlo - è culturalmente, invece, in questi gesti “invisibili” ma automatici che si percepisce la rivoluzione. Ed è qui che penso che forse tocca prenderci un momento per resettare definizioni e intenti, su come abbiamo iniziato quest’avventura chiamata social.
Social media e social network non sono ormai la stessa cosa da anni e nonostante si faccia la differenza tra lato business e lato connessioni o peggio, per intenti, non c’è cosa più sbagliata che continuare a definire le piattaforme giganti che utilizziamo tutti i giorni come “social network” nella loro prima accezione.
Se Facebook aveva iniziato infatti la sua carriera con un intento - metterci in contatto, il concetto di “amici” e i gruppi e le community, Instagram è sempre stata una piattaforma media: si parla di follower, di seguiti, di post salvati, di una UX che dà precedenza alla foto più che al contatto umano (di UX e piattaforme ne avevo parlato qui, qualche tempo fa).
Vabbè, e tutta ‘sta tiritera la sapevamo già. Premiamo il tasto forward e arriviamo a oggi. Sempre più commenti su due macro temi, almeno questa settimana: l’utilizzo dei filtri bellezza e gli algoritmi cattivissimi, mostri da combattere.
Qualche giorno fa il filtro di TikTok Bold Glamour ha creato scalpore perché è fatto spaventosamente bene. Grazie all’intelligenza artificiale si adatta perfettamente al viso e, a differenza degli altri, non va via se non ci inquadriamo bene/abbiamo mani davanti ecc.
Questo filtro ha allarmato chiunque, per i gravi effetti sull’autostima e per l’ulteriore promozione dell’apparenza/che l’apparenza sia un fattore importante sui social media.
Lancio una provocazione: e se il filtro altro non facesse che democratizzare un processo che da decenni è in corso e ha già rovinato le nostre percezioni?
Gli standard di bellezza non li ha inventati TikTok; le foto nelle riviste, nelle pubblicità, i volti noti di tv e cinema non li ha promossi il filtro Bold Glamour. Eppure, oggi è questo il pericolo che dobbiamo sconfiggere. E per farlo, lo demonizziamo.
Ma nell’internet di oggi un filtro in più significa dare uno strumento in più a molt- creator che proprio per quegli standard escludenti non riescono a puntarsi una telecamera addosso: con Bold Glamour sono filtrata ma partecipante e non più esclusa - se prima non mi sentivo a mio agio a postare un mio contenuto.
Crea danni? Sì. Cosa non lo fa, però? E cosa non ne ha fatti di enormi, tutto il resto? Con questo non voglio dire che i filtri non possano in qualche modo influenzare la salute mentale di tutti noi, ma è comunque solo una parte di un breakdown che potrebbe avvenire per tutti i fattori correlati - di cui il filtro è solo l’ennesima conseguenza, più che una causa.
Social media equivale ad apparenza, sì. Alla cultura dell’aesthetic. Dei meme fritti, delle immagini brutte ma dei nostri corpi standard, belli, comprensibili, glamour, magri, atletici. L’algoritmo di TikTok ti premia se sei così, ti affossa se sei grass-, ad esempio. Ma è colpa del codice o colpa della nostra società?
Poveri algoritmi. Li insultiamo tutti i giorni, ma sono loro che modellano le nostre fyp (for you page), ci aiutano a trovare le canzoni simili a quelle che ci piacciono, che ci forniscono le informazioni che stiamo cercando durante un dibattito per vincerlo, trovano le ricette particolari o il gadget da comprare a un prezzo vantaggioso.
Li insultiamo oggi che i social media rendono insostenibile la parte network, ma ci eravamo sposatei con la SEO qualche anno fa. Facevamo i salti mortali per scrivere ciò che voleva Lui, e oggi questo è il risultato: un web fatto di spazzatura, perché non abbiamo lasciato che il codice ci aiutasse - abbiamo preferito assecondarlo, nutrirlo con i nostri pregiudizi. Oggi l’algoritmo è mutevole, a servizio del privato, quindi non ci piace più questo gioco in cui non siamo più in controllo. Flash news: è sempre stato così, ma eravamo drogati dalla novità e dalle possibilità lavorative. Sta succedendo lo stesso con l’AI. Affascinante, l’intelligenza artificiale e i suoi mille usi. Incredibile, pensando che appunto, dieci anni fa c’era la suoneria polifonica del gattino Virgola e ora possiamo generare un’illustrazione in pochi minuti. Ma anche qui, colpevole.
La SEO, i filtri, l’AI, i social media, gli algoritmi, sono figliei nostri. Assicuriamoci che, dando la colpa a loro, si punti il dito contro di noi. E si inizi a riflettere sul fatto che se l’intelligenza artificiale impazzisce e inizia a scrivere insulti razzisti, è perché è modellata sui miliardi di dati che le abbiamo fornito noi. È colpa nostra, non è “impazzita”. Siamo noi i razzisti. Se si progetta un filtro di bellezza e l’utilizzo sale al 50% tra i giovani, è perché abbiamo costruito una società in cui insegniamo giorno dopo giorno che è solo con un determinato aspetto che possono ottenere risultati. È colpa nostra.
Come al solito, riflettiamoci, insieme.
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