Tu litighi sui social?
Ciao teleleggitory di questa newsletter, sono Anna, la vostra sconosciuta dell’internet preferita. Volevo segnalarvi che la newsletter passata ha avuto un open rate del 61%, mi avete quindi dimostrato che i clickbait funzionano ancora. Vorrei intitolare la prossima “Hai vinto! Sei il 100simo visitatore!” con i banner lampeggianti come i vecchi cari anni 00, chissà che mi facciate svoltare con i vostri click. A proposito, se vi va di supportarmi: datemi il cash o followami su Instagram, o condividete questa newsletter. O non fate assolutamente nulla di tutto ciò, tanto manca poco al momento in cui ci trasformeremo tutt- in lurker.
Qualche settimana fa ho commentato un post di un mio amico su Facebook (sì, raga, Facebook, lo so) che parlava, senza fare nomi, di un progetto/pagina che ad entrambi non andava giù. Ho scritto qualcosa che somigliava a “ridicoli” - non ricordo le parole esatte che ho utilizzato, ma il senso era proprio che, beh, lo fossero. Forse non è stato giusto utilizzare il plurale perché con gli altri che fanno parte di questo collettivo/podcast/pagina/progetto/nsesacosaè non ci ho avuto a che fare - ma il mio commento era circoscritto a quel post stesso.
Tutto ciò è presto diventato una conversazione pubblica con la persona di cui si stava parlando e si è concluso con un mio: “se mi vedi in giro, non ingaggiare una conversazione con me, perché sarebbe sterile”.
Lui ci ha tenuto a ribadire che no, non sarebbe stato zitto di fronte ad eventuali mie stronzate sul suo conto/sul suo progetto e avrebbe continuato a rispondermi per smentire la mia opinione. Non ho più risposto.
Qualche ora dopo, mi inviano uno screenshot di un post. Era il tizio che aveva fatto a sua volta lo screenshot del mio commento iniziale (senza il dibattito sotto, ovviamente), accompagnato da un rant nei miei confronti, basandosi sull’unica interazione che abbiamo avuto - mesi prima di questo episodio, nonché motivo massimo per cui entrambi non nutriamo proprio molto rispetto per le nostre rispettive realtà. Nel suo sfogarsi, in questo post solo per i suoi amici (quindi io non avrei potuto vederlo), a parte condividere la sua prospettiva (a mio avviso errata, ma in quanto prospettiva personale è inattaccabile e non è il punto di tutto questo discorso) dice delle cose totalmente inesatte, probabilmente scambiandomi per un’altra persona, non so.
Decido di non innescare il dissing pubblico e lascio semplicemente che sfoghi la sua frustrazione di aver avuto una conversazione infelice sui suoi canali.
Nessuna conseguenza per me, almeno non che io sappia: lui non è Selvaggia Lucarelli e non si è innescata la “gogna mediatica” nei miei confronti. Ed è proprio perché non è successo questo che la riflessione di oggi si discosta un attimo dalla gogna di per sé: come si sconfiggono i mostri della comunicazione online?
Questo episodio che è capitato a me e che nella nostra vita sul web viviamo la maggior parte delle volte da visualizzanti, mi ha scatenato una serie di pensieri sul come disinnescare una situazione del genere. In realtà, mi chiedo anche se sia possibile farlo.
La reazione più comune è la risposta mezzo pubblico: non siamo più un social network, ma facciamo una gara di monologhi; non ci interessa il dialogo, ma aver ragione. Ci interessa lo sguardo altrui che legge, non chi sta discutendo con noi. In questi anni si è rivelata anche la strategia più fruttuosa, roba su cui Twitch Italia ad esempio ci vive: il botta e risposta pubblico è uno scontro vero e proprio, è roba violenta, fatta di assoluti. Parafrasando Elodie, per me le cose sono due, l’approvazione pubblica mia, lacrime tue. Raccogliamo screenshot, prove, postiamo, decontestualizziamo, lasciamo che certe cose diventino risentimenti, rancori, nemesi personali.
Se ci pensiamo però, di persona queste cose si sgonfiano più facilmente.
Un altro modo è lo spostare la conversazione in privato. Preferisco sempre questa opzione, perché toglie di fatto il trigger ansioso della performance e possono esserci delle occasioni concrete di dialogo, pure in casi in cui si è completamente su binari opposti.
Ed è qui però che nasce il problema nato dalla mia pippa mentale della domenica, che tu dici potevi fare altro Anna e invece no, riflettiamo insieme su ‘sta cosa.
Prendendo l’esempio di prima, mettiamo caso che voglia chiarire le mie posizioni con il tizio, smentendo delle cose di cui lui mi accusava. Nel best case scenario (LEGGASI UTOPIA) lui capisce e possibilmente cancella il post. E il peggior scenario non è quello in cui entrambe le persone coinvolte rimangono delle loro opinioni, no; accade quando si chiarisce in privato MA in pubblico rimane un post, una live, un podcast, un’uscita stampa.
È per questo che mi chiedo come si sconfigga il mostro online. Se hai scritto una cosa del genere decontestualizzandola e statisticamente SAPPIAMO che la gente si ferma solo alle prime righe/titolo, possiamo anche parlare in privato, quella persona potrà anche fare un’errata corrige, ma è già andato. Una percentuale di persone non ritroverà più quel post, non leggerà il ps., non vedrà il modificato. Piccola o grande che sia. Quindi parlare di persona o chiarirsi in privato non risolve il vero problema, poiché esso non sta nel non riuscire a dialogare (o meglio, non solo), ma nel modo in cui la comunicazione tramite social media ha cambiato questa dinamica rendendo tossiche le parole che leggiamo, tossico ciò che vogliamo raggiungere.
Non c’è una vera fine a questo pensiero, perché sto continuando a rifletterci. Mi piacerebbe che aumentassimo giorno dopo giorno la consapevolezza nell’utilizzo degli strumenti del web. Midjourney, sì. GPT-4, anche. Però anche capire le dinamiche che smuovono la comunicazione online ci farebbe proprio bene.