This is the algorythm of the night
Raga non sono morta, è solo che avevo solo i miei pensieri da scrivervi e quindi non ho scritto nulla.
Scusate, ho iniziato passivo-aggressivamente.
Iniziamo da capo: come state? È un po’ che non mi leggete. Non dico “non vi leggo” semplicemente perché in questa dinamica relazionale io scrivo a voi vabbè insomma ci siamo capit. Fatemi sapere come state, se avete voglia. Intanto vi ammorbo con le mie riflessioni sul tema di oggi, ossia il content che non è proprio content di essere content, ma non prima di questa sigla immaginariaa.
State leggendo anneddoti, la newsletter che esce meno spesso di quanto accadano catastrofi pandemiche, climatiche, socio-economiche e culturali in giro per il mondo. Parlo di vita digitale e riflessioni sul folklore del web. Se vuoi condividere la newsletter, attivare la campanellina, lasciarmi un like, fare una giravolta e farla un’altra volta, fallo pure, altrimenti puoi continuare a segnare questa mail come “letta”, dandomi l’illusione di star parlando a qualcuno.
Il guru delle newsletter italiane dice che non bisogna mandare i propri pensierini - ché l’internet è pieno. Ma dobbiamo rincorrere il content? Essere utili a tutti i costi, darvi i 5 tool che uso ogni giorno come tizia x e y? Devo dirvi di essere costanti, come si fa un PED, cosa è, un PED?
Non ne ho voglia. Perché se c’è una cosa che abbiamo smesso di fare è proprio mandare i propri pensierini. Adesso si chiamano “content”. La differenza?
Il content è fatto per uno scopo ben preciso: ottenere engagement, posizionarsi.
I pensierini non fanno crescere, sono - semplicemente - pensieri. Di semplice, però, in questa operazione, non c’è nulla, a iniziare dal pensare. Esporsi, poi, con l’obiettivo di comunicare e iniziare un dialogo è ormai una prassi totalmente estinta su internet.
Quando dico, con il bastone alzato e fiera della mia teoria del complotto, che Commenti Memorabili ha compromesso sostanzialmente la ormai debole struttura del dibattito sul web, io sono estremamente seria - e preoccupata, perché tutto quello che facciamo in pratica è aspettare il nostro turno come in un jrpg per attaccare, fare il nostro monologo, la nostra uscita perfetta, per collezionare like o screenshot o la gloria del momento. Quello è il content.
Quando sarà il vostro turno di fare intrattenimento, cosa farete?
Non fraintendetemi, certo, per crescere serve contenuto, possibilmente originale, solo così daremo valore e dando valore, la gente inizierà a seguirci.
Io mi trovo d’accordo con lui, da una parte. Ma dall’altra, vorrei continuare la roadmap che accenna con quel concetto: seguendoci, la nostra audience diventerà grande, così grande che arriverà il pensiero intrusivo: “what if faccio due spicci?” e quelle persone che chiamiamo community facendo lovebombing su di essa, diventeranno un pubblico a cui rifilare adv più o meno con filtri e ritegno. Poi avremo l’obbligo artificiale di creare costantemente intrattenimento e informazione, finché subappalteremo qualche nostro social a ChatGPT - LinkedIn su tutti - e all’improvviso ci sentiremo così onnipotenti che la nostra opinione diventerà il content.
Perché alla fine, spoiler, il nostro punto di vista è già content. Andiamolo a chiedere a Blurr, uno degli streamer più seguiti d’Europa, se a nessuno serve la sua opinione, se per crescere deve fare contenuto di qualità, suggerire i tool che usa, fare dei caroselli dove fa l’analisi geopolitica del mondo.
Ma prendere Twitch come esempio non è corretto, probabilmente, è una piattaforma estremamente problematica a livello etico e sociale e viene alimentata da solitudine, falsa percezione di contatto umano e sociopatia.
Quello che voglio dire è che è “semplicistico” affermare che a Mariangela di Valguarnera Caropepe non interessa nulla del mio pensiero sul web.
Cioè, grazie ar cazzo, dicevano i francesi.
E contemporaneamente, non è del tutto vero. Viviamo di opinioni altrui. Di punti di vista diversi. Dello stesso format replicato mille volte.
Qualche anno fa, alla vista dell’ennesimo trend con un balletto virale, mi chiedevo quale fosse il punto - lato Creator nel farlo e lato spettator nel fruirne più di uno.
Poi ho capito che non era una questione di moda, bensì delle sensazioni che ti lasciava uno o l’altra. Del setting, del volto dell’interprete, com’era vestit*, la qualità del movimento - in caso di coreografia eseguita esattamente uguale.
Si può crescere sul web dando valore - e il valore non è per forza una informazione. Magari questo mio pensierino, che altro non è che una riflessione notturna senza nessun motivo, può rappresentare una banalità per 50 di voi, l’ennesima inutile mail non letta per gli altri e per una sola persona un ragionamento che ne innesca altri - rendendo di fatto questo contenuto utile.
Forse sono stanca di mettere tra i preferiti mille caroselli che mi aiutano a migliorare i miei reel, con gli strumenti AI per editare i video, che mi consigliano come prendermi cura della mia salute mentale, che mi raccontano cosa fanno in questo momento le stelle nell’universo. Vorrei scoprire che la mia vicina di feed ha una riflessione da condividere, un racconto della sua giornata, qualcosa che ci faccia rientrare in contatto con un’umanità perduta tra prompt a ChatGPT e algoritmi che seguono il beat capitalistico.
Comunque se volete i tool che uso in questo periodo sono questi:
Framer - per i siti web. Pazzesco, lo sto provando in questi giorni perché sto rifacendo il mio portfolio, poi ve lo faccio vedere.
Opus.pro - utilissimo per i reel e i TikTok.
E basta, poi uso quelli che usano tutti e provo quelli che troverò nel prossimo carosello.
Statemi bene, non smaterializzatevi, sennò poi chi mi legge.