La prima volta che ho avuto a che fare con le parole “intelligenza artificiale” lavoravo per un evento che voleva trattare l’innovazione da ogni lato - e i massimi guru italiani, che sempre quelli sono rimasti, aprivano i loro speech con quella provocazione allora più immaginaria di adesso “e se l’AI ci rubasse il lavoro?”. Io ero davanti al palco di uno di ‘sti qua e dicevo boh ma ti immagini? Si parlava di reddito universale, dell’uomo non fatto per lavorare, il tutto mentre si facevano grandi applausi al problematico Elon Musk, che lo era anche allora solo che era di moda adorarlo quindi lo si faceva tutti.
Poi mi sono ritrovata a scrivere dei pezzi tecnici per l’intelligenza artificiale e mi sono rasserenata. D’altronde potevo anche arrivarci da sola: se Google non capisce che deve impostare un timer o fare partire una versione di Livin’ la Vida Loca piuttosto che un’altra, potrà mai capire questa fantomatica AI neonata che mi dovrebbe sostituire come fare felice il mio capo bipolare - che l’unico input che ha mai dato nella vita è stato probabilmente quando ha scelto il colore della sua Tesla?
Oggi uso Chat GPT per rielaborare testi molto densi ed è un ottimo strumento per quando devo scrivere delle frasi più standard degli standard della società odierna.
Nel frattempo, apprendo da LinkedIn che sono arrivate le nuove posizioni lavorative del futuro. I guru di anni fa mi avevano avvisata, d’altronde, penso di aver sentito non so quante volte lo speech di Cristina Pozzi sui mestieri del futuro e bla bla bla. Eccolo arrivato, siamo nel 2023, abbiamo superato una pandemia, due crisi economiche, nel bel mezzo di quella climatica e se mia nonna fosse viva non saprei spiegarle il banale lavoro che faccio, figuriamoci se dovessi dirle che da grande forse potrei fare la prompter.
La Project Manager delle AI, o la maestra delle elementari addetta all’utilizzo del computer. Ho queste due immagini nella testa, una molto futuristica, Jetsons style e quella della mia maestra delle elementari che ci faceva vedere per la prima volta un computer. Vedere, sì, perché non potevamo interagirci - lei era la sola addetta alla tastiera e al mouse. In un certo senso, anche lei era una prompter, solo che non veniva pagata migliaia di euro dalle aziende per svolgere questo mestiere ancora sconosciuto.
Oggi stavo ancora su LinkedIn quando ho scoperto che il Social Media Manager de Il Corriere della Sera ha avuto una brutta serata: sembrerebbe aver tweettato da account fake un sacco di messaggi indignati.
L’outrage porn non è una cosa che hanno inventato i social - è un fenomeno sempre esistito nei media, che fa leva sulle emozioni per causare una risposta di qualsiasi tipo. Con Facebook & co., ha trovato terreno fertile non solo per sedimentare, ma anche per prosperare in qualità di unico mezzo di sostentamento ad oggi per le grandi realtà dell’informazione. Eppure io mi ricordo quando ero bambina e venivano trasmessi i primi servizi con la musica strappalacrime, le foto e il racconto di un giornalista che cercava di farci empatizzare con la vittima. Meccanismo poi diventato cuore di trasmissioni come Forum, Amici, C’è Posta per Te, perfezionato minuziosamente dopo i primi esperimenti andati a buon fine.
La pornografia del dolore e quella della rabbia. Sullo sfondo del capitalismo, di una concorrenza spietata in un campo ancora poco regolamentato, su tecnologie ancora non del tutto conosciute. Qualche giorno fa Geoffrey Hinton, il padrino dell’AI ha lasciato Google per poter parlare liberamente dei pericoli dell’AI. In particolare, in un’intervista al New York Times, dice che la sua più attuale preoccupazione sta nella possibilità che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale ci bombardi ulteriormente di roba fake (news, foto, ecc.) e non sarà più possibile distinguere la realtà.
Ed è questa cosa, mentre noi addetti ai lavori facciamo a gara a chi prompta meglio sui mille tool con l’AI, che piano piano mette radici su un terreno favorevole alla crescita.
Ma che di fatto, combinato alle altre notizie renderà internet un posto invivibile. La nuova generazione lo sa quindi sembra essere sempre più lurker che partecipe, mentre i Content Creator devono ogni giorno trovare una cosa nuova da dire per non essere dimenticaty e intrattenere, questa newsletter compresa.
Ovviamente questo significa chiudere a chiave l’AI e tutto il resto? No. C’è una cosa che possiamo fare solo noi, ed è quella di sensibilizzare la gente ad avere una igiene digitale. Significa che come all’epoca della pandemia, dovremmo istituzionalizzare, far passare il messaggio, uno spot martellante sul non commentare le notizie dei giornali sui social network. Qualsiasi cosa ci sia scritta. Perché questa è la società che stiamo costruendo: i giornali per avere più click quindi guadagnare di più si auto-commentano da soli le notizie con commenti imbestialiti; il pubblico di internet si divide in chi si riconosce in quel pensiero primordiale e si sente in diritto di poterlo esprimere e chi invece lo schifa e risponde - magari screennando - perché ci sono ormai pagine su pagine che premiano il blasting, il commento memorabile e quellecoselà. Nel frattempo, l’AI si nutre di tutto ciò che scriviamo in pubblico (a grandi linee, ovviamente). Ecco cosa stiamo costruendo: una intelligenza artificiale spara merda, che spero prima o poi venga a dirci quanto siamo stupidi, perché ce lo meritiamo.
Chissà se cambieremo la rotta, in quel caso.
Ciao dalla vostra sconosciuta preferita dell’internet, Anna. Che scrive anneddoti per voi. Vi chiederei di sostenere questa newsletter condividendo, commentando e bla bla, ma tanto non lo fate mai e in terapia ho imparato che non devo rincorrere nessuno. Nemmeno i followerz. CIAO