Ciao amicy teleleggitory, come state? Io bene, volevo mandarvi un estratto di un pezzo che ho scritto per IGN Italia, dedicato alla salute mentale nell'intrattenimento. Ci ho messo due anni per scriverlo, perché prima l'ho vissuto. Ho scritto la prima parte a letto, depressa e incapace di fare qualsiasi attività che non fosse tenermi in vita, il resto in vari momenti, fino ad oggi, cioè qualche settimana fa. Per scrivere pezzi del genere ci vogliono mesi, per assemblare il contenuto, per trovare dati, esperienze, per darmi del tempo per tradurre emozioni ed esperienze di vita in parole. Questo processo è anche doloroso. Io lo faccio perché credo nel potere della scrittura, quello in cui arriva e ci fa pensare cose a cui non avevamo dato spazio. Lo faccio perché credo che sia un dovere, continuare a ripeterci che non siamo soli.
ATTENZIONE: CONTENUTI SENSIBILI. Il contenuto di questo articolo contiene riferimenti a temi come depressione, suicidio e malattie mentali. Continuarne la lettura potrebbe essere emotivamente impegnativo, quindi procedi solo se te la senti. Se tu o una persona a te vicina state passando un momento difficile, contatta unə professionista in campo sanitario. Se hai un'emergenza, chiama il 112.
Nessuno può capire ciò che sento in questo momento.
C’è - dentro il silenzio - un temporale di pensieri. Tuoni che scuotono le mie interiora, lo stomaco che brontola, la bile che urla, la gola che brucia. Il fiato che corre. Non capisco le parole di questo vento, ma sono sicura che mi porterà via la vita. Sono sola. Questa casa nuova - io divisa a metà. Prima e adesso, prima e dopo, lì e qui; cuffia destra, cuffia sinistra. Innocente e colpevole.
Faccio fatica ad alzarmi dal letto; non è che non voglio, non posso. Vecna mi tiene sospesa tra il materasso e il soffitto. Soffitto che fisso - e non smetto di ricercare in questo muro bianco le mie oasi felici. Me lo chiede, mi illude, la voce si distorce, arriva la violenza. La musicassetta che esce il nastro, ricordi corrotti. Fiato corto, pensieri rotti. E una mano invisibile mi stringe l’esofago.
Mio fratello è morto ed è colpa mia. Non ho nessuno perché casa mia è marcia. Sogno vermi. Quante cose non diciamo. Quante meno ne confessavamo quando non avevamo una rete in cui buttare un amo. Se Vecna avesse avuto la fibra, saremmo un po’ nella merda. Ma è il 1986.
Dormo, dormo sempre. Credo che a un certo punto spuntasse una finestra di scelta sopra la mia testa per forzare quell’azione. Volevo fare come in alcuni videogiochi. Dormi e si ricarica la barra della vita, e tutto il resto. Dormi e ritorni in gioco. Dormo per disattivarmi, perché c’è poco da vivere. Continuavo a dire alla mia terapeuta: “È come se per superare questo livello avessi bisogno di una chiave, ma non vedo nemmeno il punto in cui dovrebbe essere". E continuavo a isolarmi, finché sono diventata l’isola da cui sono fuggita per evitare di diventarla. Che paradosso. Come Max, cercavo rifugio in ricordi felici. Lei preme Play, fa partire la musica. Io rileggevo chat vecchie, che però non bastavano. Allora tu-duum. È tempo di andare in un nuovo mondo, perché questo non riesco a viverlo.