Non avrei mai pensato di scrivere questa newsletter senza aprirla con “a Milano, oggi, piove”, che ha rappresentato il 90% delle aperture delle mie letterine a te, che mi leggi chissà da dove. Eppure la vita è strana e le decisioni che bisogna prendere quasi all’improvviso pure. Quindi eccomi qui, dopo aver passato l’estate in un anonimo paese della provincia di Messina, dove il mare è così-così e di turisti manco l’ombra o quasi, mi trovo a casa di un’amica a Roma a battere un po’ di pensieri sulla tastiera.
Roma? WTF?
Ciao persona che legge questa newsletter. A Roma c’è il sole. C’è stato il sole per tutto settembre. Quanto è stato bello vivere l’inizio dell’autunno qui. Mi sono quasi sentita una cantante indie.
Ne parlavo da tanto tempo, mi ero fatta piani e progetti, ma la verità è che le decisioni alla fine si sentono di pancia e si fanno, ciao. Ho abbandonato Milano. Avrei dovuto parlarvi di “privilegio”, nel mese del Pride, approfittando anche di un sacco di storie di cronaca che si sono susseguite nei mesi. Ma in questa newsletter ho il privilegio, appunto, di poter parlare di cose che non seguano per forza la nostra timeline e quindi vi dico cosa è successo dopo l’ultima newsletter. È successo che la vita non è il post su LinkedIn che ci dice “sono una millennial e ti racconto l’innovazione”, né il pezzone di critica su The Vision da leggere e condividere per sentirci sollevat-, ma è tutto questo mentre siamo sedut- in mutande e ascoltiamo musica discutibile, rifacciamo i nostri cv, ci iscriviamo all’ennesimo corso mentre troviamo lavori sottopagati.
Poi succede che, sempre grazie al privilegio di avere qualcuno che ti ospita, la vita diventa una veranda con un odore nuovo, il vento di una città che non conosco. L’odore di guanciale rosolato, dei pini, del parco vicino casa. Il suono della voce delle persone, con quella cadenza così familiare ma che, vivendola, sembra quasi di essere in un film. O comunque in un posto strano, un posto in prestito, sospeso tra le realtà che fino ad adesso si è vissuti.
Cambiare città e pelle e situazioni e case e tutto, come avrai sicuramente vissuto anche tu che mi leggi, non è facile come il post motivazionale di LinkedIn che ci invita a superare i nostri limiti e abbandonare la comfort zone.
Cioè, perdonami, amico di LinkedIn, ma perché? Cioè perché dobbiamo abbandonare le comodità, scusami, chi l’ha detto che nella vita bisogna cambiare? Ma poi perché non cambi tu, tipo che smetti di scrivere sui social.
Anche questo, ossia scrivere su LinkedIn un paio di cazzate senza senso, fa parte di un privilegio.
Volevo parlarvi di questa parola molto usata, e di questo vi parlerò. Di questa parola che sembra quasi un insulto, così alta che se rivolta a noi sembra ci stiano accusando di ricchezze. Che strani esseri che siamo. Ci incazziamo se qualcuno ci dice che siamo ricchi.
Ci incazziamo se ci dicono che a causa del colore della nostra pelle non subiamo discriminazioni, quando è la verità.
Ci incazziamo se ci dicono che siccome abbiamo una relazione eterosessuale non subiamo discriminazioni, quando è la verità.
Cioè ma come ti permetti, anche io sono stat- bullizzat- e mica facevo tutti ‘sti capricci.
Ci incazziamo quando ci dicono che abbiamo il privilegio di non dover sentirci a disagio (nel migliore dei casi) se dobbiamo andare in un bagno pubblico.
Tutte quelle scelte che ci sembrano automatiche e facili per alcune persone non lo sono affatto.
Anche questi sono privilegi: non dover pensare, scervellarsi, anche nella più banale (dal nostro punto di vista) delle questioni. Lo sono perché non tutti hanno la possibilità di baciare per strada chi amano e non avere il pensiero che forse potrebbero venire picchiat-.
Io non sapevo, ad esempio, di avere il privilegio di poter andare in bagno (come dicevo prima) senza preoccupazioni. Di scegliere quella porta col simbolo di un’omina con la gonnellina senza la paura che qualcuno possa farmi sentire fuori luogo mentre vado a fare una cosa tanto naturale e necessaria come la pipì.
Privilegio non significa colpa, né doversi privare di qualcosa. Significa averlo, accorgersene e lo step successivo diventa fare qualcosa per far sì che lo diventi anche per la persona a fianco a noi finché tutti i privilegi si uniscano in un unico buco nero per formare la parità, la tanto agognata parità.
Quindi, cara persona che si è appena sentita offesa da un “sei privilegiat-”, non è successo nulla di male. Accetta il fatto che non si sta partecipando alle sfigaolimpiadi dove vince chi è più discriminat-, sfigat-, traumatizzat-, ma al giro di giostra della vita, dove siamo tutti dentro questo cerchio e ogni tanto ci divertiamo e ogni tanto vomitiamo dalle altezze però non vince nessuno e siamo tutti qui per divertirci e non stare eccessivamente male.
Tutto è privilegio. Respirare con i propri polmoni, avere un corpo in salute, avere due occhi, scrivere su una tastiera, avere una casa, potersi comprare un gelato.
E più passano i giorni e più mi rendo conto che sebbene faccia parte di un paio di nicchie discriminate perché quel giorno c’era il paghi uno prendi cinque, in realtà sono una delle privilegiate che durante la grande crisi economica ha un’entrata powered by INPS. Sono una persona che non ha perso la casa. Sono, addirittura, qualcuno che si può permettere di stare da settimane nella città eterna. Voi ci pensate alle persone che vorrebbero tantissimo visitarla ma non potranno mai farlo nella vita? Questa cazzata - perché nella nostra testa lo è - è un privilegio.
Io li sento, gli sbuffi. Come se chissà che avessi detto. Forse questo discorso sembra la nuova versione di “mangia, pensa ai bambini in Africa che non hanno nulla!”, quella frase trigger per noi che instillava il senso di colpa, del quale dovevamo liberarci subito ribellandoci o ignorandolo.
E se invece imparassimo a vivere e affrontare le nostre sensazioni, emozioni, stati d’animo e accettare che se li proviamo, vuol dire che esistono e vogliono dirci qualcosa?
Io la butto lì. E ovviamente lo scrivo per ricordarmene anche io, visto che nel corso della mia vita alcune emozioni sono rimaste lì, come personaggi giocabili non sbloccati di un picchiaduro.
Mi sento felice nel dire che ho un privilegio e voglio usarlo bene, trasmetterlo a te che mi leggi.
Tipo ad esempio qualche giorno fa sono uscita, ho rivisto un’amica che non vedevo da tempo. Abbiamo mangiato fino a scoppiare e poi siamo state al parco a chiacchierare tantissimo, di ciò che era successo durante i nostri lockdown; al momento dei saluti e del ritorno a casa su un autobus che ci avrebbe messo un’ora, mi sono accorta che stavo vivendo del tempo liquido, che mi scorreva tra le mani velocemente, e che come acqua fresca mi rinfrescava. Che avevo il privilegio di stare tutto quel tempo su un mezzo di trasporto che attraversava mezza città. Che i miei occhi stavano guardando l’altare della patria, era così grande e io così piccola. Così normale per chi ci abita da una vita, così meraviglioso per tutti i turisti che scattavano mille foto e anche per me che ero rimasta semplicemente a bocca aperta. Che stavo sorridendo perché, mentre eravamo bloccati nel traffico, osservavo una signora al momento della chiusura della sua cartolibreria che però vendeva anche qualche giocattolo. L’ho vista picchiare la testa della statua Lego di fronte al negozio, dargli uno scappellotto per dispetto, poi aprire la vetrina per recuperare qualcosa e sbattere la testa contro il vetro. Ho sentito le urla di un’altra inveire contro l’autista per difendere un’anziana, caduta per l’eccessiva velocità del conducente. Sono privilegiata perché posso vivere queste cose e raccontartele, portarti con me con le mie parole.
E sai cosa? Questo privilegio mi fa venire voglia che ce l’abbiano tutti, la fortuna di fare e/o di essere vita.
Andiamo a renderlo un po’ più uguale, questo mondo. Basta poco. A volte, basta solo non essere stronzi.