I meme normalizzano cose che non andrebbero normalizzate
Ciao teleleggitory! Questa cosa l’ho scritta 5 anni fa, ma siccome penso sia abbastanza attuale, volevo farvela (ri)leggere e dirvi che sono viva. Voi come state? Fatemi sapere.
Un politico in questi giorni ha suonato al citofono di una famiglia comune, chiedendo alla madre se suo figlio spacciasse. Scortato dalle forze dell’ordine, ripreso dai giornalisti e dal proprio staff di comunicazione.
Questo atto gravissimo, violento, ignorante, che va contro ogni legge ed etica personale e professionale ce lo siamo ritrovati sul nostro news feed in vari modi, ma soprattutto tramite meme. Non è raro che si incappi prima in esso che nell’effettiva notizia, per molti motivi. Sicuramente tutti voi avrete un paio di amici che ammettono candidamente di tenersi informati tramite i meme e successivamente approfondire le notizie che interessano. Lo faccio anche io e credo che in certi casi capiti un po’ a tutti.
Il meme arriva ad una velocità spaziale, qualcosa che i siti provano ad emulare ma senza avere la stessa efficacia, sia in termini di engagement che in potenza evocativa. Il meme è il fulcro della notizia a portata di soglia dell’attenzione da social.
Per leggere una notizia su ANSA, che tendenzialmente sono le più brevi e più veloci, bisogna quantomeno aspettare che il giornalista la scriva; nell’atto dello scrivere, ci si augura che il giornalista controlli le fonti, che non ci siano errori, quindi facciamo che esegua questa operazione – anch’essa che porta via tempo; l’articolo viene revisionato (forse?) e postato online. Da qui inizia l’altro processo: dobbiamo aprire il sito stesso o Google, nel primo caso identificare la notizia in una homepage confusionaria (e chiudere eventuali avvisi popup, accettare la cookie policy, disattivare l’adblock e/o ritrovarsi un video adv da chiudere – non prima di averci spaccato i timpani) oppure sapere già cosa si vuole cercare nel motore di ricerca. Leggere tutta la notizia ed elaborarla.
Un meme, invece, te lo ritrovi nel newsfeed del tuo social mentre lo stai scrollando in preda alla noia e/o in cerca di notizie.
Per comporre un meme basta saper fare una rapida sintesi del caso: Salvini suona al citofono chiedendo: “suo figlio spaccia?”. Fine. Bottom text, scritta bianca con bordo nero.
Il grosso problema dell’informazione tramite immagini che riassumono, può essere paragonata allo studiare guardando le figure. Però nel caso dei meme è anche peggio: essi continuano ad essere la nostra fonte di informazione preferita non solo perché è la più veloce da leggere e da assimilare, ma anche perché riescono a depotenziare la notizia.
Noi non possiamo più permetterci di pensare: abbiamo troppo. Troppi dati, troppe persone, troppe ore di lavoro, troppa scelta, troppe informazioni. Ed è quindi un sollievo poter guardare un’immagine, infastidirsi per la notizia ma poi prenderla a ridere.
Il meme è la fotografia storica di un evento, ma con una potenza evocativa diversa: se una foto di un evento storico può trasmetterci un vasto range di emozioni, il meme te ne dà una. Devi divertirti, non ci devi pensare, tutto questo è ridicolo, non è grave, fatti una risata.
Esso quindi normalizza cose che dovrebbero farci indignare e preoccupare, cose che dovrebbero darci lo stimolo per reagire o fare e lo fa con semplicità devastante, lo fa con la potenza del flusso, del molteplice. Diventa trend. Diventa virale. Diventa qualcosa da riprendere per poter rimanere al centro della conversazione.
Ed è proprio quest’ultimo, uno dei punti cardini non solo della nostra vita social, ma anche quella dei mematori e dei politici, o meglio del politico che ho citato prima, con uno staff che ha capito prima di altri come funziona la ‘macchina’: per rimanere al centro della conversazione bisogna sapere di cosa stanno parlando tutti. È la regola numero uno di ogni creatore di contenuti: se parli dei 10 modi per grattarti la testa, probabilmente lo leggeranno solo coloro che hanno molto prurito o la vostra audience di affezionati, se la avete. Se parli di Nutella Biscuits quando si parla di questo e se diventi grottesco abbastanza da diventare memabile, sei sulla bocca di tutti.
È a questo punto che si annullano i confini del buono o del brutto. Il meme fa ridere però l’azione di per sé è gravissima e il fatto che continuiamo a scrollare e mettere la reazione AhAh ad ogni declinazione creata ci espone sempre più al fatto, rendendolo non più così spaventoso come sembrava essere originariamente.
Diventa una risata. Un modo per attaccare bottone con la tipa su WhatsApp e vuoi sembrare simpy e aggiornato. Un titolo clickbait. Un articolo che colleziona i migliori.
E poi tutto passa. Però quell’azione no. Quella mina la nostra libertà di cittadini, la nostra incolumità, i nostri valori, rappresenta un grave precedente. Ma sembra non importarcene, di fronte a views, impression, noia e burnout da preoccupazioni.