È difficile essere Chiara Ferragni
Meglio la tua attivista performativa che ti fa i caroselli su IG, vero?
Borghese, bella, di buona famiglia.
Scrive una lettera a sé stessa da bambina e la legge sul palco di Sanremo. Dice che piange nella sua cameretta.
Si leggono i: “ma cosa piange che è una privilegiata?”
Continua a leggere, dicono dica banalità.
Eppure quella donna così ricca, così potente mediaticamente che potrebbe pure scoreggiare sul palco senza che cambi di un millimetro la sua vita, il suo conto corrente e il suo business ha deciso di normalizzare un concetto per il quale micro-influencer e amicy che vanno da terapeuti o life coach ci fracassano la uallera nei nostri feed da un po’ di tempo - me compresa. Il non essere abbastanza.
Lei dice che piange perché si è sentita così e noi la deumanizziamo, perché cosa deve piangere lei, privilegiata.
Privilegiata, si continua a dire, che prende temi femministi e li banalizza, si continua a scrivere.
Eppure questa privilegiata Chiara Ferragni su quel palco poteva fare molte cose da privilegiata: promuovere il suo brand, parlare dell’imprenditoria femminile, strizzare l’occhio a quelle cose lì, che piacciono tanto ai boomer di Sanremo.
Ma no, lei diventa oggetto di un piano di comunicazione pensato ed eseguito magistralmente: lei si fa mezzo d’espressione attraverso il suo corpo, più che attraverso le sue parole, di messaggi intensi. Mette al servizio della causa che ha sposato ciò che sa fare meglio: la moda. Dietro quegli abiti fa partnership e costruisce messaggi, cambio dopo cambio. Le gabbie degli stereotipi con la figlia, l’abito con i commenti d’odio online, l’altro con il suo corpo nudo disegnato. A ogni cambio su quel palco, sui social segue un post con una spiegazione didascalica.
Non si è limitata a devolvere il suo cachet all’associazione D.i.Re. e fare “brand activism” come dice il Sole 24 Ore. Si è presentata su quel palco e ha comunicato, con tutti i mezzi a sua disposizione. E quand’era il momento di parlarne, ha ceduto il suo microfono, ha fatto sedere accanto a sé altre donne, quelle donne che sanno di cosa stanno parlando.
In un contesto, ricordiamolo, in cui non era dovuto. In un contesto in cui avrebbe potuto parlare di qualsiasi altra cosa. Sarebbe stata odiata comunque, perché l’Italia ha deciso di odiarla indipendentemente da ciò che fa, ma forse non avrebbe attirato ancora più hatersz del solito.
È difficile essere Chiara Ferragni, perché il sessismo di questo Paese non la lascia in pace. Perché l’invidia italiana verso il successo altrui è la tassa da pagare quando diventi qualcuno. Chiediamolo anche ai Måneskin, se non è vero.
Ma è altrettanto difficile sopportare la nostra ipocrisia, mentre insultiamo Chiara Ferragni ma osanniamo Elon Musk; mentre deridiamo Chiara Ferragni e seguiamo Michela Murgia; mentre ci prendiamo gioco di Chiara Ferragni e idolatriamo quello delle mammine pancine.
Perché se mi chiedete di scegliere tra l’attivista di Instagram che pratica femminismo sui palchi delle manifestazioni con il discorso più bello del mondo salvo poi ritrovartela in altri contesti che dà delle troie ad altre ragazze e Chiara Ferragni sul palco di Sanremo che dice le ennesime cose già dette, io scelgo quest’ultima.
Se mi chiedete di scegliere tra la pagina d’informazione queer che ogni tot. fa gli strafalcioni di comunicazione e Chiara Ferragni che invece di parlare di sé usa sé stessa per parlare anche solo un secondo in più della violenza di genere, su un palco prestigioso come quello di Sanremo, io scelgo quest’ultima.
Solo che ecco, io la capirei se un giorno si rompesse i coglioni di noi e facesse ciò che fanno tutti gli altry che sembrano essere i nostri idoli sacri e inattaccabili, ossia prenderci per il culo per un po’ di fama e soldi.
Chi l’avrebbe mai detto che preferiamo l’attivismo performativo a una bella e impattante comunicazione.