Corpi, ricordi, desideri, donne
Stamattina mi sono svegliata prestissimo. Ho aperto gli occhi e un filo di luce trapelava dal muro di vetro mattone che ho davanti. Mi sono girata a pancia in su, con una mano sulla fronte, sfatta di sonno e col cervello che ricominciava a sussurrare cose, aiutato dal silenzio assordante di una Milano troppo calma.
Ho accarezzato istintivamente la parte vuota del letto. Ho pensato che avrei voluto ricevere un abbraccio, poi un bacio. Ho chiuso gli occhi di nuovo, nel tentativo di sognarlo e ricordarmi la stretta, il profumo, la pelle contro la mia, la voce. Mi è sembrato ingiusto, per un po’, rifugiarsi in qualcosa di passato—voi come vi comportate con i ricordi delle persone che magari non vogliono toccarvi più? Io ho un po’ di problemini etici a riguardo.
Comunque ero lì, tra le sue braccia, dentro il suo sguardo, tra i suoi pensieri. Con i fiati sospesi, con le carezze accennate, decise, con labbra contro labbra contro pelle contro desiderio.
Sono sicura che ognuno di voi starà visualizzando qualcun@, leggendo queste parole. Un momento, un’emozione, un posto. Un corpo.
Ieri notte sono andata a dormire guardando la soap opera spagnola che ho citato un sacco di volte in questa newsletter ma di cui non vi ho mai parlato. La protagonista del filone che seguo, ambientato nel 1899, urlava alla madre “io non mi sono innamorata del suo corpo, ma della sua anima!”.
Ho chiuso il video, un po’ arrabbiata per questo messaggio veicolato.
Mi sono ricordata quando ero io ad urlare questa frase alle mie amiche; quando spergiuravo che questa era l’unica donna, poi l’ultima, poi la speciale, come quando apri una scatola di cioccolatini e sei a dieta e dici ok uno e poi basta però vabbè sono troppo buoni. Mi sono ricordata di un’altra domenica mattina, quella in cui mi risvegliai con i muratori che cantavano Gigi Finizio e il sole illuminava la sagoma di una donna che dormiva beata accanto a me. La mia prima donna, la nostra prima notte. Mi ricordo la vergogna, la paura, le mie mani che tremavano, il panico nella testa. Una domanda fissa, che diventava una frase monito, senza punto interrogativo, cosa sto facendo.
Noi non siamo solo corpi, corretto. E non è nemmeno giusto nei nostri confronti dire che esso sia solo un mezzo di comunicazione per far sì che le anime si parlino e si tocchino, no. Il corpo è tangibile, è carne, ossa e sangue. Il corpo è noi.
Stamattina, quindi, pensavo al suo. I suoi capelli lunghi, i nostri che si incastravano tra anelli e bracciali e che è sempre un casino ogni volta che ci si bacia perché vanno dovunque. La curva dei fianchi. Le sue dita. Lo sguardo carico di desiderio, il sorriso disarmante. La pelle liscia, il profumo del collo. La rotondità dei suoi seni. Pensavo al mio, che ho sempre odiato, ma che è stato accarezzato da mani pazienti, decise, vogliose di scoprirci.
E ho, finalmente, sorriso.
Quando realizzi di amare le donne è un casino perché quando succede e appartieni alla mia generazione e vivi in Italia hai pochi punti di riferimento a proposito. Gianna Nannini lo nega come se fosse una malattia, perché ovviamente se sei lesbica non esisti se non come perversione di coppie annoiate o uomini che ci fanno essere una delle categorie più ricercate e apprezzate su P0rnHub. Quindi tecnicamente quando googli qualcosa è un casino. Poi onestamente, a parte lei non mi viene in mente molto altro. Finisci sui forum per fare un po’ di chiarezza, leggere delle storie e se ti va bene incontri qualcuno con cui fare gruppetto e supportarti, nel difficile “mestiere” di essere una donna che ama le donne.
E poi arriva, per la maggior parte di noi, arriva quel momento bellissimo in cui sorridi, appunto. Quando sei felice ed euforica perché quella connessione che senti è intensa, che quel corpo ti fa impazzire. Quelle labbra soffici, quella pelle da disegnare, l’intenso sapore dell’intimità.
Quindi ecco, credo sia importante dirci quanto ci piaccia il corpo della persona che desideriamo.
So che alcuni di voi penseranno che esiste la pansessualità. Corretto. I pansessuali sono attratti dall’individuo indipendentemente dal sesso d’appartenenza dello stesso, ma una volta stabilita la connessione, inevitabilmente si ha un rapporto con un corpo, qualunque esso sia. Da amare.
E quindi sì, quando la mia eroina della soap opera urla “mi sono innamorata della sua anima, non del suo corpo” è certamente lecito. Il problema è che la frase spesso diventa fraintendibile. Uno scudo della nostra omofobia interiorizzata, che ci giustifica e ci fa dire “sì ok però io mi sono innamorata della sua testa, non delle sue tette”. Ed è sbagliato rifugiarci in questo pensiero, perché sembra voler dare meno peso ad una cosa che esiste e ci piace e che mangiamo e guardiamo e pensiamo.
Dovremmo essere felici, ugualmente fieri di accarezzare quel corpo, come qualsiasi altro orientamento sessuale. Io amo leggere i racconti delle mie amiche che descrivono quanto desiderio provano per quell’uomo, per la sua voce, la sua barba, i suoi muscoli. Mi piace quando i miei amici mi raccontano dell’esperienza extra-sensoriale con il bellissimo pene di tizio X.
Quindi perché dobbiamo vergognarci di aver percorso chilometri di pelle profumata, di aver slacciato reggiseni (o di averli strappati, tipo), di aver perso la vita a cercare i clitoridi delle altre, di amare non solo quella chimica e quell’intesa delle donne, ma anche l’ebrezza che ci fa sentire baciare quelle labbra, quel corpo?
La mattina è finita, così come il mio ricordo, ancora troppo vivido per essere contenuto in un cassetto. Così come questa riflessione. Inizia la fase due: alzarsi dal letto e ingoiare il desiderio. Ed aspettare nuovi corpi, nuovi brividi, nuove persone.
Chi di voi può, si abbracci forte. Pelle contro pelle.
Canzoni che mi sono venute in mente scrivendo ‘sta robba:
Il 26 aprile è la giornata della visibilità lesbica. Tutta la newsletter è dedicato a questo unico tema, ossia essere frocia. Condividete pure se avete delle amiche frocie che devono svegliarsi e capire che, ehy, essere donne gay è bello! Non avremo diritti, saremo doppiamente discriminate da una società eteronormativa e patriarcale, ma ehy, abbiamo la f…ocaccia!
Accadde oggi
(pubblicato su Uonnabi, il 23 ottobre 2016)
Non ho ancora ritrovato, nei ricordi che mi propina Facebook, il momento in cui il mio primo amore mi disse che sarebbe stato meglio lasciarci, perché “voglio farmi una vita con un uomo, ma ti amerò per sempre, Anna!” e io postai tre puntini come stato. Nel 2009, spuntò qualcosa tipo:
“Anna Sidoti …”.
Non sapevo come riempire quello spazio, cosa stai pensando? Non so a cosa pensassi, esattamente. Ero svuotata, avevo ingenuamente programmato la mia vita con una quarantenne, a 18 anni. Mi sentivo abbandonata mentre la vedevo online in chat. Un pallino verde. Tre puntini. Attendere il “blip” di Facebook. Un anno perso all’università, una crisi immensa, un senso di sporcizia addosso per la mia sessualità, la confusione. Mi piacciono gli uomini, le donne, le chat su MSN.
Cosa significano i puntini di sospensione? Oggi molto probabilmente la risposta sarebbe stata un insieme di mi piace, uno scroll più in giù, un altro più su. A quel tempo, quei tre puntini mi hanno legata ad un’altra persona. Quell’amore che dicevo più su, quello che non servono i ricordi di Facebook. Si è preoccupata per me, occupata di me. Insegnato giusto quelle due o tre cose che mi sono servite per essere la donna che mi sento adesso. Un inutile stato su Facebook mi ha portato a provare un amore forte ed intenso, uno di quelli che pur non vissuti nella classica relazione ti cambiano, totalmente. Quella storia-non-storia è sui server di Facebook e in un mio vecchio hard disk, in formato .xml. Sulla mia casella di posta Hotmail, come allegato in .html. Messaggi privati di forum, accumulati perché c’era scritto il mio cuore e forse il suo.
Strana la tecnologia, vero? Perché puoi bloccare le persone e il loro nome diventa nero, nei tuoi ricordi, però per il resto tutto quanto diventa incliccabile, illeggibile. E così è successo. Sei anni, tre puntini, ricordi che si accumulavano. La mancanza, ma la vita che va avanti, le cose che si trasformano. Infine, un sorriso e una nostalgia.
Rivedersi offline, senza il “blocco” su Facebook, scambiarsi due parole, in imbarazzo per via della fine telematica di un rapporto telematico. Era vero? Era falso? Se è solo scritto, è davvero vissuto? Come si prova l’amore solo con le parole? A quel tempo ero una pazza, per il mondo. Al tempo, accarezzare una foto, conservare screenshot (ossia file .txt nell’ipod) era qualcosa di irreale. Non un solo bacio. Nessuna esperienza intima di vita. Solo pagine compilate su una finestra esistente su un server, a cambiarmi la vita.
Possono, delle parole compilate lettera per lettera battuta su una tastiera che le imprime in uno schermo, averti trasformata così tanto da ricordartene in maniera così vivida, nonostante non ci sia Facebook a ricordartelo?
Sorrido, ancora, perché uno scambio di battute tra due attrici in Black Mirror mi ha fatto pensare a come sarebbe stato chattare in realtà aumentata, con l’aspetto desiderato, nell’epoca desiderata. Mi ha fatto pensare a quando aspettavo che si connettesse, quando il suo avatar spuntava in una finestrella in basso a destra. Mi ha fatto pensare al fatto che se riesco ad amare in questo modo, è perché mi ha insegnato a non fermarmi. A vivere. A non vergognarmi di chi sono o come sono o a quale tipologia di essere umano sono attratta.
Oggi ci siamo viste in webcam su Skype. Ci siamo raccontate un paio di cose, a volte sembrava non avessimo passato nemmeno un minuto lontane. Le ho raccontato della mia fidanzata, lei dei suoi gatti. Visto che MSN non c’è più e i nick non ci sono più, c’è di nuovo Facebook, di nuovo un nome cliccabile, qualche immagine e video di animali da scambiarci. Squallido? Triste? Forse l’amore deve essere ricordato come glorioso e non trasformato in un banale scambio di meme? Deve rimanere quel ricordo statico, immutabile, anche se cancellato dai server di Microsoft e un rapporto riscritto sui server di WhatsApp con una serie di frasi che raffigurano noi che cerchiamo di interfacciarci con le persone che siamo adesso?
Magari qualche hacker stasera ha registrato le nostre risate, io che le raccontavo dei miei genitori, lei che mi spiegava la metafora del “cannolo” mentre mi sembrava di essere stata catapultata nel mio passato, averci fatto pace, chiuso le cose in sospeso. Magari domani sarò l’ultimo contatto della lista, quella a cui mandi gli auguri per il compleanno e con la quale ti dici “un giorno ci vediamo per un caffè” quando in realtà nemmeno lo bevi, il caffè, e poi comunque questa frase non è mai un vero invito.
Insomma, magari succede tutto questo, però c’è una cosa che Accadde Oggi non sa, ma io so: quell’evoluzione nel corso degli anni, ogni giorno. Questa me, quello che ho costruito. È tutto partito da quei tre puntini, da quell’incontro, da quei log di MSN, da lei che mi ha spinta, da me che adesso, vivo, amo, sono felice.
E sono felice che internet ci abbia permesso di ridere ancora, insieme, nella stessa stanza.
Grazie di aver letto questa puntata speciale della newsletter esclusivamente dedicata alle donne che amano le donne.
Io come sempre mi auguro che voi stiate bene. Fatemi sapere, raccontatemi pure cosa state facendo e ci risentiamo il prossimo weekend. Sì, riprendo a scrivere un po’ di più, promesso.
Un abbraccio dalla vostra sconosciuta dell’internet preferita.