Congiungersi
Stavo lavando i piatti cantando come mio solito, sulle note, stavolta, di Not Mine to Love degli Slow Club.
Complete Surrender è —oltreché un grandissimo brano— un bellissimo album, ve lo consiglio.
Pensavo che da domani la gente si riverserà per strada alla ricerca dei propri congiunti tipo quando ci fu l’esplosione del fenomeno Pokémon Go e io boh, credo che andrò all’Esselunga a cercare i Nutella Biscuits o uno Snorlax.
Cosa abbiamo imparato da questo isolamento? Che dai balconi si possono fare cose straordinarie, che in fondo quasi tutti possono diventare chef se ci si crede abbastanza, che le aziende riescono a fare spot tutti uguali con la solita retorica dello stare insieme ma distanti, che i miei vicini sono morti e che Desmond in LOST come ha fatto a non impazzire io non ce lo so.
Io ho imparato un sacco di cose su me stessa, in questi due mesi sola con la mia mente. Voi cosa avete combinato?
In questa puntata vi parlo di:
Estranei. Non quelli di Game of Thrones, ma quelli che appaiono nella nostra vita per darci qualcosa. No, non sto parlando nemmeno dei Testimoni di Geova;
La mancanza di contatto fisico dopo tutto ‘sto tempo con la tecnologia, a.K.a. Esperanza d’Escobar;
Cose varie ed eventuali.
Il valore degli estranei
Poco fa ho ricevuto un messaggio da una persona che ho visto due volte nella mia vita, della quale conosco molto poco, ma mi ha registrato un vocale dove mi diceva “non so cosa stai facendo in questo periodo, non so come ti senti, ma se dovessi aver voglia di parlare, chiamarmi, picchiarmi virtualmente o sfogarti per qualcosa, io ci sono”.
Ho sempre trovato potentissime queste frasi dette da persone che nella nostra vita, sostanzialmente, non ci stanno. È vero che essendo iperconnessi, anche la cinese che ho aggiunto 11 anni fa su Facebook perché cercavo amici con cui giocare su Pet Society potrebbe potenzialmente sapere più cose di me che, non so, un mio cugino di sesto grado che da domani potrò andare a trovare. È vero anche però che, nonostante ‘ci si veda’ tutti i giorni sul feed con meme, pensieri e foto, tutto ciò non significa legame.
Per questo ho sempre trovato magico quel momento in cui alcune persone fanno l’ingresso nella nostra vita come guest star e a me personalmente emoziona un sacco: è un lasso di tempo potentissimo in cui ci si connette e si condivide tanto, si instaurano nuove routine. Non sai se quelle persone diventeranno amici, qualcosa-di-più o resteranno parentesi relegate a quel periodo, però, senza nulla togliere agli amici, sono quelle persone che ti accompagnano in un viaggio bellissimo dentro nuove parti di noi stessi.
Tramite gli altri ci proviamo, ci specchiamo e ci conosciamo: testiamo nuove noi, permettendoci di capire chi siamo nelle fasi di vita sempre diverse che ci troviamo ad attraversare.
Con gli estranei è più facile essere quelle che non pensavamo mai, a volte viene anche più naturale raccontarsi; si crea una bolla, attorno a questi rapporti, una strana familiarità che si condivide mentre ci si addentra in noi, così come nell’altro.
Non abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci conosca a memoria; nuovi rapporti come fogli bianchi ci permettono non solo di disegnare ciò che siamo oggi e non di ritoccare un qualcosa di già sedimentato negli anni, ma anche di specchiarci, appunto, nell’altro, di imparare nuovi modi di essere proprio da questa persona qui, davanti a noi, che ha quella cosa che ci attira e che vorremmo essere, che crediamo ci stia un po’ bene. Oltre ovviamente alla bellissima avventura che è, conoscere le storie degli altri e fare nuove conoscenze, gli estranei ci permettono di svelarci in un momento di assoluta fragilità senza apparire tali, come una farfalla appena uscita dal bozzolo. Chi ci conosce da bruchi, sarà ‘sconvolto’ dal cambiamento e ci toccherà le ali e farà paragoni. Chi invece ci vede volare, penserà solo che siamo un sacco belle.
Tra estranei ci si ritrova a condividere qualcosa di intenso dietro una necessità comune: accompagnarci in un tuffo, più o meno profondo dentro la conoscenza. Che sia una persona con la quale si assiste ad un concerto, una comunità di disagiate che si riunisce in un gruppo con il trash come comune denominatore (ciao care <3), una persona su un autobus, qualcuno conosciuto su un social o altro, il loro grande valore è arrivare nella nostra vita non tanto quanto legame, ma come connessione che sa regalarci, oltre ad una nuova potenziale persona nella nostra vita, un pezzetto di noi stessi. Una stabilizzazione di un upgrade.
Quindi grazie, estranei della mia vita, perché ogni giorno mi insegnate qualcosa su di voi e mi aiutate a conoscere la me che sarò domani.
La tecnologia e la mancanza di contatto fisico
La pelle che vibra al tocco. Le espressioni del viso. Semplicemente, la leggerezza di essere corpi vicini mentre ci si parla o, soprattutto, si condivide un silenzio. Queste sono le cose che si perdono nella traduzione offline-online. La frustrazione che genera l’utilizzo della tecnologia, facendocela a volte vedere come un nemico o come l’invenzione brutta e cattiva che altro non fa che scimmiottare la realtà senza poi regalarne le gioie della stessa.
Dopo quasi una vita passata dietro allo schermo, posso decisamente dire che le chat mi hanno rotto il cazzo.
Litigare dietro uno schermo lo trovo orribile e traumatizzante: diventi improvvisamente parole su vetro o voce su speaker; non significa perdere di vista che dall’altro lato ci sia una persona, no, ma ci perdiamo la cosa che rende speciale la vita, ergo il contatto fisico. Che non è necessariamente toccarsi, ma guardarsi mentre ci si parla e percepirsi. Non tramite gestualità, body language e quelle-cose-lì, o meglio, non solo: è anche e soprattutto quel qualcosa che ci fa sentire bene anche solo quando siamo in silenzio, nella stessa stanza, con una persona.
Non potendosi vedere, però, come ci si tocca?
Siccome molti di voi potranno riabbracciarsi da domani ma molti altri no, con conseguente aumento della frustrazione, volevo lanciarmi in una riflessione, scatenata anche da un episodio della newsletter di Isabella Borrelli, che ormai vi cito tipo una volta sì e l’altra pure perché è la mia crush.
Le sue soluzioni hanno solleticato i miei pensieri e sono arrivata a pensare che alla fine per amarsi dietro ad uno schermo occorre molta intimità mentale.
Ricreare quella sensazione di chimica tra due corpi nello stesso letto, in silenzio, mentre si respira semplicemente e ci si guarda immaginando a cosa possa pensare l’altro, è impossibile al giorno d’oggi; ci proviamo con Skype et similia, ma il risultato sono pixel giganti e gli occhi della persona che non ti guardano, ma un po’ vanno sulla miniatura, un po’ sulle notifiche, un po’ sulla webcam, un po’ alla tastiera. Ci proviamo con il telefono, ma la nostra voce ha un timbro diverso rispetto alla realtà e stare in silenzio con un’altra persona in chiamata con noi sembra ancora molto strano.
Il sesso, non ne parliamo. L’intimità si fa, non si scrive, no?
Ed è qui che entra in gioco la creatività, che non significa adattare lo strumento ai nostri umani bisogni, ma allargare la proiezione della nostra mente a scenari che non pensavamo fossero plausibili. Stare insieme e comunicarci l’intimità a distanza non significa stare 9 ore al telefono mentre facciamo le cose della nostra vita, ma dedicarsi un paio di momenti per fare cose che possono solleticare le nostre percezioni che alimentano il nostro corpo. Le fantasie sono le responsabili della nostra eccitazione, quando accarezziamo il braccio della persona che ci piace e sentiamo la sua pelle sotto i nostri polpastrelli, pregustiamo già il centimetro dopo e quello ancora: ecco, l’emozione quindi deriva non solo dall’esperienza in sé, ma anche dalla previsione/illusione/fantasia del microsecondo dopo.
Come dicevo in una delle scorse puntate di questa newsletter, la potenza delle parole a volte può essere devastante. Scriversi esattamente cosa si vorrebbe fare non significa riempirsi di condizionali non realizzabili (quindi generando altra frustrazione), ma creare un universo in cui quelle frasi colpiscono, in pancia e alla testa. Generano immagini, che generano brividi, che generano voglie.
Parlo del sexting, sì, in qualsiasi formato esso possa essere praticato; scritto, orale, in videochiamata. Non è un surrogato del sesso, è una cosa a sé. È un’esperienza di vita, un’intimità che nutre due menti e sfocia in un effetto inaspettato sul corpo.
Certo, è bellissimo accarezzarsi senza pixel di mezzo. Non c’è paragone.
Ma proprio perché non c’è paragone, il sexting diventa una condivisione piccante, piacevole e altrettanto intima della sfera sessuale di due (o più?) persone.
A tal proposito, vi linko una bellissima guida al Sexting illustrato, di Chiara Filincieri.
Insomma starsi lontani fa schifo. Perciò possiamo scegliere di essere frustrati. Oppure di leggere dei racconti erotici al telefono e riderne o accendere l’atmosfera. O ancora mandarsi gif sexy e stimolare la fantasia. Guardare un filmato hot insieme. Sentire la voce dell’altra persona spezzarsi.
La tecnologia non può regalarci la realtà. Ma la cosa bella è che la realtà, di qualsiasi tipo essa sia, la creiamo noi.
Cosa è successo questa settimana sull’internet
Papa Ratzinger ha pubblicato la sua biografia e ha scritto che le nozze gay sono come l’anticristo. Beh, è divertente immaginare i gay come nemesi di Gesù, giusto perché mi immagino la battaglia a suon di Born This Way di Lady Gaga e boa arcobaleno.
Ah, raga, la pandemia! Ve la ricordate? Ora che cosa diremo, da domani? Restate a casa dei congiunti? Lontani ma diversamente vicini? Dobbiamo trovare un nuovo slogan, altrimenti come possiamo ricordarci di questo leggero virus che potrebbe farci ammalare? A lavoro, copywriter di tutto il mondo!
Se avete bisogno di supporto psicologico, è attivo il numero verde gratuito, attivo tutti i giorni, 24 ore su 24. Non abbiate paura di chiedere aiuto. Qui il link alla notizia.
Su Facebook è arrivata la nuova reaction dell’abbraccio. È un omino giallo che abbraccia un cuore, perché, ci comunica Mark, Facebook ci vuole aiutare a sentirci più vicini. Ovviamente è diventato già base meme per un sacco di robe. Adoro.
Durante le fasi finali di questo lockdown, ho scoperto grazie ad un’amica (grazie Cristina, tvb) un sacco di gruppi Facebook dove si fa finta di fare cose. Quindi c’è chi ha passato 24 ore sfornando dolci e chi ha finto di essere una formica in una colonia di formiche o una persona pazza in un manicomio. Fair enough.
Una pagina su Facebook trasmette spezzoni a caso di televisione degli anni 2000. Mi sono incantata a guardare pubblicità che mi ero scordata esistessero. Vi consiglio la visione (e la lettura dei commenti).
Anche per questa settimana, Anneddoti finisce qua. Io come al solito vi saluto e mi auguro che stiate tutti bene. Fatemi sapere come vi va la vita. Abbracciate anche da parte mia i vostri congiunti, domani. Io sognerò ancora per un po’ di essere in riva al mare, accanto ai miei amici, accarezzata dal suono delle onde e dalle risate.
Adesso ritorno a lavare i piatti, ma stavolta credo che mi esibirò in una toccante performance di Down Down Down delle Lollipop. Perché sì.
xoxo,
Anna.