Sono Vergine ascendente Gemelli. Significa che sto per dare la colpa alle stelle sul perché non mi piace più questa intro, dopo soli pochi numeri. Sì, quindi finisce qua, l'era di questi rettangolini. Ti interessava? No. Te l'ho detto comunque? Sì. Ah, Substack ha inserito la possibilità di fare il voiceover, quindi dalla prossima ve le leggo pure, fatemi sapere se vi piace l'idea di io che vi leggo le cose che scrivo. Poi boh, non so, cosa volete di più, un lucano? Non si dice più, fortunatamente, se non nella testa di noi millennial and below. Comunque scusami, che maleducata. Ciao, stai leggendo anneddoti, ossia una sconosciuta su internet che ti parla di vita digitale, lgbtq+ e quello che le passa per la testa.
Riassunto per chi ha fretta: oggi parlo di abitare i social network, di incendi digitali, di rabbia, fuoco e quelle cose là, però applicate a internette.
A noi non piace leggere le cose brutte. Quando siamo davanti a queste slot machine di contenuti vogliamo divertirci, staccare la testa e cercare una fonte su Internet che dia ragione alla nostra tesi mentre litighiamo, online o offline. A noi non piace guardare le cose belle degli altri. Vediamo la Ferrari ibrida di Fedez e Ferragni e non smettiamo di parlarne perché diventano uno specchio: e noi? E quindi commentiamo “mi presti 5€ per il gelato?” - “no comment”. Invidia. Vediamo poi una ragazza che posta una foto al mare in una posa sexy e scleriamo male perché non dovrebbe promuovere il suo stile di vita sui social. Sia la donna considerata relativamente attraente in maniera oggettiva - e scriveremo cose sul coprirsi, la dignità ecc. ecc., sia una donna con un corpo non conforme allo standard - magari sovrappeso - per la quale ci preoccuperemo per la sua salute e per i valori che sta condividendo, potenzialmente influenzando il mondo in maniera poco consona. Sia mai che, come abbiamo letto nella scorsa newsletter, si possa esistere sul web e basta.
D’altronde è vero ormai da tanti anni: non si esiste e basta sui social network. Se si posta, si diventa media e messaggio. Che ci piaccia o meno. I negazionisti del web sono realtà: sono quelli che non vedono l’impatto del digitale sulla vita reale o, peggio, ne percepiscono l’entità e preferiscono continuare la vita analogica. Non li biasimo. Tuttavia, questo è l’oggi che siamo chiamat- a vivere. E c’è da vederlo e studiarlo per quanto si può. Se non ci interessa il prossimo in qualità di concetto di umanità, dovremmo farlo per i vostri figl-. Comunque scusate, stavo divagando. Ve l’ho detto, sono calda su questo argomento. Dicevo.
Come da premessa, a noi non piace leggere le cose brutte. I social lo sanno. Per questo ci danno gli strumenti per nascondere, silenziare, bloccare, controllare la voce di qualcuno nel nostro spazio digitale. Ove non riusciamo più a ignorare, possiamo oscurare ciò che ci causa dei problemi.
Che questa cosa sia problematica lo avevamo ipotizzato sin dall’inizio e personalmente mi sono sempre chiesta dove fosse il confine che mi avrebbe portata verso l’estremismo/l’alienazione da altre voci. Non ho quasi mai bloccato nessuno, se non per ragioni di sicurezza fisica e mentale. Ho nascosto molti contenuti - contenenti ragni o spoiler; ho defollowato persone che non conoscevo dalle opinioni problematiche, che ritengo inaccettabili.
Ma ho mantenuto persone del mio passato che condividono solo foto dei figli, appelli di cani smarriti e post contro il governo, la disoccupazione e il caso del momento spiegato dalla retorica insopportabile di Lorenzo Tosa. Sono contenuti che mi interessano? No. Sono contenuti che mi triggerano? Alcuni. Sono contenuti necessari al mio ecosistema del web? Sì.
A noi esseri umani digitali spetta un compito arduo, su internet: quello di creare la nostra fauna e la nostra flora; i nostri micro organismi e tutte le altre cose biologiche che esistono in natura che smetto di elencare perché questa newsletter viene letta da persone che potrebbero darmi 2 in biologia. Ma sono sicura che ci siamo capiti: non è sostenibile mantenere un ambiente sano se non ci sono gli strumenti “restaura”, “ripara”, “crea oasi protetta”. Ora, certo è che questa cosa non sia possibile - anche eticamente non è giusto andare da un altro essere umano e “ripararlo” per farlo stare nel mio mondo, quando magari nel suo non è nemmeno previsto uno spazio per me.
Tutto ‘sto pippone per dire che la nostra God Mode prevede solo l’eliminazione. Il che fa ridere, se ci pensiamo, perché è uno dei motivi cardine per il quale molti atei non credono - penso alla frase “se dio esiste allora perché non può fare qualcosa per le guerre?”, evidentemente anche lui è sulle piattaforme Meta e può solo silenziarci.
Basta, la smetto di divagare: eliminare, nascondere e ignorare, però, è il modello della vita offline che stiamo applicando a quella online. Quello più conveniente, in termini di tempo, energia e denaro. Il risultato qui lo stiamo iniziando a percepire: le risorse stanno finendo, i più illuminati tra di noi lo stanno letteralmente urlando da decenni e rinviamo anno dopo anno l’attuazione di soluzioni concrete per la crisi climatica. Su internet, la stessa procrastinazione ci sta portando a sottovalutare la portata del fenomeno. I social sono una discarica a cielo aperto, e nessuno sta pensando a fare la raccolta differenziata. Malesseri vomitati in ogni angolo, sensi di inferiorità, senso di superiorità. Oltre alle cose note come news illeggibili, false, manipolate e manipolanti e tutto ciò che ci dicono quelli che fanno i TED Talk.
Ciao, sono il messaggio che spera sempre che un giorno possa raggiungere l’obiettivo che raggiungono tutti su internet quindi i big money o la fama, di modo tale che possa pure fare corsi e dire alla gente che il lavoro bisogna attrarlo. Per supportare il lavoro di Anna, puoi seguirla su Instagram, Telegram oppure donarle dei soldi, come il buon capitalismo vuole, a questo indirizzo. In alternativa, schiacciare questo bottone è gratis, ma so già che non lo farai perché appunto questa newsletter parla proprio del fatto che non ci esponiamo beh vabbè io te lo lascio comunque ciaoooo!
A noi non piace leggere le cose brutte, perché significherebbe dovercene occupare. E non vogliamo. Questa è una soluzione adottata da molte persone - perché devo interessarmi di un ambiente che impatta poco la mia vita di tutti i giorni? Nulla da dire.
È che, ad esempio, alcune cose entrano sottopelle, stravolgono processi, influenzano silenziosamente. Tipo quei pareri che riteniamo particolari perché edgy, sulle righe. Il costante utilizzo dell’ironia per mascherare ciò che realmente pensiamo e che rende arido se non impossibile il dibattito. Ma anche qui, non facciamo nulla. Filmiamo. Screenshottiamo. Leggiamo. Poi scriviamo, magari in privato. Perché esporsi richiede tempo, ma anche energia. E poi, siamo sicur- che sia la cosa corretta da fare? Perché in fondo, il processo noi ce l’abbiamo già, la soluzione è ignorare. Oscurare. Cancellare. Bloccare.
“Perché ti arrabbi? Perché flammi su internet? È inutile”.
Però ecco, questa frase mi infiamma: perché ritengo normale e necessario arrabbiarsi leggendo delle cose che sono pericolose, dannose. E chi lavora sul web o nella comunicazione in generale, ha il dovere civico di intervenire per cambiare le cose. Non ci sono strategie che funzionano. Ci sono i tentativi, i test. E perché siamo disposti a farli per i clienti su piattaforme che tengono segrete le loro formule magiche e non lo facciamo per uno spazio che - volenti o nolenti - abitiamo con il nostro intelletto?
Con questa newsletter vorrei chiedervi di pensare a tutte le volte in cui avete letto qualcosa che avete percepito come problematico e non avete fatto nulla. Perché? Era paura? Mancanza di tempo o di mezzi e/o competenze per farlo? È questo lo specchio del fatto che non interveniamo - indirettamente o direttamente - davanti alle ingiustizie ma le filmiamo? Perché siamo diventat- l’Hunger Games? Perché ci piace guardare le tragedie - e trasformarle spesso in personali - e non iniziamo a innescare il meccanismo che ci permetta di non farle succedere così tanto?
Quando inizieremo a prenderci cura del nostro io, per guarire il nostro ancor più spezzato io digitale, per costruire una realtà vivibile senza andare in burnout - online o offline - ogni trenta secondi?
Quando impariamo a spegnere gli incendi senza basarci più sui concetti di flame e “don’t feed the troll”, che sono ormai figli di un web che non esiste più?
Quando vado a dormire, voi direte? Adesso, lo giuro, la sto scrivendo alle 3 di notte. Però voi pensateci. Ah, se non credete a me, credete a Piero Angela, che prima di morire ci ha lasciato un messaggio:
“Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile Paese."
Statemi bene. E possibilmente al fresco. Ma siate sempre abbastanza caldi per le cose che impattano la nostra vita.
Anche nella vita reale capitano situazioni in cui preferiamo voltare la faccia dall'altra parte. Troppo scomodo affrontare il problema, perciò meglio metterlo sotto un tappeto. Esiste fuori dai social, esiste dalla notte dei tempi. Il bon ton è un palliativo rinascimentale per sorridere ai nostri consimili mentre vorremmo letteralmente strangolarli con le nostre mani. Quindi chapeau e un applauso agli inventori dei social network che sono riusciti perfettamente a traslare questa innata attitudine umana anche nel mondo virtuale.