Quando Zuckerberg ha annunciato il cambio nome della sua compagnia in “Meta” ero malauguratamente su LinkedIn. Praticamente mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato, tipo quando non ascolti l’allerta meteo e ti ritrovi davanti un tornado o quando scoppia un reattore nucleare e ti senti bruciare la pelle e ti chiedi se fa troppo caldo per tutti o sei solo tu a scioglierti. Terrificante. I post sul Metaverso fioccavano come la neve nei nostri spot pubblicitari sul Natale (visto che siamo a novembre e non ho ancora acceso i riscaldamenti, daje Roma, hai un bellissimo clima). Tutti ad averlo previsto, tutti ad aspettarlo, immaginarlo, spolverare i loro Oculus Quest, wow, fantastico. Io basita, perché qualche giorno fa si parlava appunto dello scandalo dei Facebook Papers e essendo su una piattaforma di esperti di settore mi aspettavo boh, non so, un po’ di scetticismo in più.
Invece leggevo, ma su Facebook stesso, timidissimi “raga ma ci stiamo rendendo conto che questo rebranding è solo una mossa di marketing visto i recenti dettagli aggiunti allo scandalo dei Facebook Papers?”, sotto forma di meme, unico vero veicolo ormai di satira e protesta sociale.
E quindi siamo seduti qui, letteralmente, perché in Italia possiamo fare solo sit-in, ad aspettare il metaverso mentre il nostro internet peggiora. Che famo?
Ciao teleleggitor-, sono Anna, la tua sconosciuta dell’internet preferita e tu stai leggendo anneddoti, il mio spazietto del web in cui parlo dei cazzi miei, di folklore digitale come in questa puntata come avevi già capito e di cosine lgbtq+. Se hai ricevuto questa email perché qualcuno te l’ha inoltrata ciao qualcuno! Grazie per averla inoltrata. Tornando a te, invece: se ti piace ciò che scrivo, iscriviti, ti lascio il box qui come fossi H&M però non hai nessun codice sconto perché non ti vendo niente in questa amara vita. Anzi, se vuoi darmi dei soldi vai qui. Se invece vuoi seguirmi prova Instagram, ma tanto posto poco. Ti lascio anche il canale Telegram.
Più passa il tempo e più penso che ci sia la chiara necessità di istituire social media e social network che non siano sotto il controllo di aziende private; che sia obbligatorio cominciare a fare qualcosa adesso, per questo povero e martoriato internet. Voi direte: eh, Anna, thanks to the dick – se sapessimo cosa fare o se ne avessimo la minima intenzione l’avremmo già fatto. L’amara verità è che i social non possono essere affare di governo perché voglio dire, basta guardare un attimo il sito dell’INPS per renderci conto che non abbiamo la possibilità di creare infrastrutture digitali che non ci fanno uscire pazzi, né essere diversi da ciò che sono oggi perché it’s capitalismo, bitch.
Qui immaginati una nuvoletta del pensiero uscire dalla mia testa, con questa cosa scritta su: E quindi praticamente il web altro non è che un millennial depresso come me, direi che l’annata 1989 ha portato un po’ sfiga, al nostro universo online. Fosse nato Gen Z, magari avrebbe avuto un’altra vita.
Quindi eccoci qui, ognuno su un social diverso in base al vertical che vogliamo seguire, mentre i giovani hanno sempre più avversione per questi mondi virtuali che abbiamo creato. In un mio vecchio pezzo li paragonavo alle slot machine e non è un segreto nemmeno questo, che sono piattaforme studiate per risucchiare il nostro tempo premendo sui nostri trigger psicologici. Milioni di studi ne parlano, mica lo dico io.
Di conseguenza, la situazione ad oggi è che i social media ci rendono infelici. Infelici ma ricchi, hanno creato posti di lavoro, ci intrattengono, sono il posto in cui cerchiamo conforto e sfogo perché insultare a caso gente nei commenti delle notizie costa sempre meno di andare da un terapeuta. Infelici e incapaci a rinunciarvi perché parte dello status quo dell’essere umano di questo millennio. I social non funzionano più, non ci connettono più; creano opportunità di contatto e profitto, ma siamo di certo molto lontani dalle intenzioni dette dal fondatore dei colossi di categoria.
E quindi ‘sto Metaverso è come Ready Player One, no? Indossi il tuo set e sei online, in una casa tua virtuale, pront- a sentire, percepire, essere esperienza. Se guardiamo il video di presentazione, sembra una cosa divertente, futuristica, forse troppo per chi ancora riceve il codice dello SPID via SMS. Oltre alle enormi difficoltà tecniche che rendono il metaverso attualmente solo un’utopica/distopica realtà considerando che il VR - che è la cosa che si avvicina di più alla tecnologia che renderebbe possibile il tutto - non è che sia andato benissimo, parliamo delle implicazioni ad oggi, di ciò che comporta vivere un metaverso?
Metaverso significa far percepire, nessuna differenza dal nostro attuale concetto di reale. Potrebbe sicuramente rappresentare un’ottima mossa per veicolare messaggi culturali che fanno fatica a permeare all’interno della società oggi, tipo le diversità e la possibilità di essere chi vogliamo essere, un robot, una lavatrice, una dea eterea con i capelli lunghissimi e bianchi (questo è il mio sogno). Però fa nascere nuovi interrogativi: in un mondo in cui possiamo essere un drago, l’opposto del nostro avatar fisico o la sua copia cartoon, come affronteremo la nuova definizione di realtà e identità che dovremmo darci?
Non vedrei l’ora di confrontarmi con un dibattito morale che scardina completamente le pesanti catene del passato e ci obbliga ad astrarci sempre più, ma temo che non faremo in tempo a fare un giro nel nostro labirinto personale (Westworld reference).
A oggi non abbiamo la tecnologia, né la cultura per un metaverso. Abbiamo però la spocchia dei vecchi su LinkedIn convintissimi che il futuro sia spararla sempre più grossa, costruire robe sulle macerie piuttosto che preservare, restaurare e co-abitare. Abbiamo mondi virtuali nei quali ci rifugiamo in parte, e li stiamo distruggendo perché mancano gli strumenti di moderazione e abbiamo un’igiene digitale scarsissima. Stiamo in piena emergenza climatica: offline e online. Necessitiamo di una Greta Thunberg dell’internet. Dove sei?
La realtà che abbiamo tra le mani sono startup che si definiscono metaverso quando offrono “solo” ambienti 3d super-cringe in cui sei una versione super buggata di un Sims assieme ad altri avatar tutti uguali. Giornalisti che definiscono Minecraft e Fortnite metaversi, quando sarebbe più opportuno chiamarli mondi virtuali sfociati nella cultura popolare. Abbiamo gli Oculus Quest che ci permettono un’immersione notevole, però andate a guardare i porno e ditemi quanti contenuti sono stati pensati per le donne, le persone non binarie, disabili, che pure esistono e sono audience viva di quei portali.
Parlare di Metaverso è bellissimo e fantasticarci su anche. Ma sarebbe anche bello iniziare a discutere seriamente di responsabilità digitale, di igiene, di cultura. Di regolamentare queste piattaforme che stanno profondamente cambiando i nostri stili di vita. Sarebbe bello che se un gigante del tech fa un annuncio totalmente scollegato dal qui e ora, in una piattaforma di professionisti del settore, si iniziasse a fare un certo rumore. C’è in ballo la nostra vita, quella fatta di carne e sangue, quella che respira e si nutre. E quella ci sta chiedendo il conto, di tutto il tempo che passiamo infelici a guardare feed palesemente finti, a non saper più distinguere notizie vere da quelle false, a pregare i guardiani dell’algoritmo in una notte di luna piena per farsi leggere. Spoiler: è un conto salato.
Vabbè insomma tutto ‘sto papiro per dire fanculo, capitalismo, fanculo, social media.
Ovviamente posterò questo link su tutte le piattaforme, perché sono vittima anche io del sistema che critico, sono un’ipocrita e questa è una fine blackmirroriana. Li sentite i Radiohead?
Questa è la fine della newsletter, se hai letto fino a qui wow, complimenti! Ecco un piccolo banner di achievement per te (immaginatelo, non ho voglia di aprire photoshop), dicono che la gamification sia importante. Ricorda di seguirmi sui social (Instagram - Telegram) così il mio ego può continuare a prosperare tranquill- e Zuckerberg ricevere i soldi necessari per creare il Metaverso. Se vuoi, da oggi puoi sostenermi con una donazione mensile. Tipo l’8x1000, ma non prego per voi.
Statemi bene.