🦕 We're all going to die 🦕
🎶 ciao, come stai, domanda inutile (ma nell'amore mi rende prevedibile) 🎶
“In cosa posso aiutarti?” mi chiede un’amica, io chiudo la finestra perché non so cosa dirle. In realtà non c’è molto da fare, per quanto io sappia che tutti i miei amici o anche solo conoscenti non esiterebbero a fare un gesto carino per me. È il bello di sapere di essere amati e io sono profondamente fortunata. Amo e sono amata.
Ci sono però quelle giornate in cui ti senti la persona più sola dell’universo e quando ti chiedono il perché, beh, non lo sai. Il cervello è pieno pienissimo di pensieri che si susseguono, affrontando tra l’altro vari topic: sembra di stare alla Vucciria, dove tutti dalla propria bancarella neurale urlano sinapticamente cose che vanno a incasinare il mio Barba Bianca (Esplorando il Corpo Umano docet) in testa, che già poverino di suo non ce la può fare, e mi costringe a fermarmi e guardare il soffitto da sdraiata perché non capisce più niente, c’è troppo buiddellu (casino, trad.).
È un anno e mezzo che lo guardo, questo soffitto bianco, e guardandolo mi sono resa conto che in realtà lo fisso da una vita intera. Quando ero adolescente ci scrivevo le parole delle canzoni, perché volevo leggere di continuo quei concetti che mi evocavano emozioni che potevo richiamare ogni volta ne avessi bisogno. Adesso faccio zoom out dal mio corpo e, oltre a farmi film mentali che penso siano LE BASI dell’esistenza umana, mi esibisco mentalmente in dei monologhi interiori che verrebbero delle bellissime newsletter, se solo mi alzassi e convincessi Barba Bianca che magari potrei fare come faceva la Anna a sedici anni, che scriveva tutto nel suo blog di MSN ed era così autentica, vera, un file raw. Toglieva quei pensieri dalla testa per metterli su un server. Nell’atto di scrivere e pubblicare sul suo diario personale ma pubblico si toglieva gli ippopotami dallo stomaco.
Adesso sono un .pdf. Consultabile e leggibile. La cultura del web mi fa pensare che se scrivessi anche mentre sto così come stasera, mi sentirei di banalizzare la situazione o di darla in pasto a un internet ben più consapevole di quanto lo fosse anni fa, però adesso cerco di scacciare questo pensiero perché ho bisogno di scrivere e forse qualcun@ di voi si sentirà meno solo. Insomma, NON SCRIVO IN CAPS LOCK QUANTO SONO TRISTE PERCHÉ MI SENTO TRISTE E NON SO PERCHÉ, perché dopo l’adolescenza il momento emo finisce e inizia una vita fatta di muri che proteggono l’intimità. Intimità è rispondere alla domanda “come stai?” con “non sto bene”. Se non sei ‘intim@’ con qualcuno, ti trovi in difficoltà. Figuriamoci se lo scrivi in maiuscolo a tutto il web. Non lo faremmo mai. Non lo facciamo più.
È pauroso rispondere sinceramente a quella domanda. Perché spesso arriva da persone che non senti frequentemente, e allora pensi che l’altra persona pensi wow, bell’inizio di conversazione. Il come stai è la domanda più intima e allo stesso tempo più di circostanza che ci sia, è quella cosa alla quale si risponde bene e tu, al massimo “in ripresa” o “sono stata meglio”, secondo il bon-ton comune, perché altrimenti scatena dei meccanismi che vanno dalla preoccupazione allo scazzo. Viene detta a inizio conversazione, poi, quindi scusate, cosa stavamo pensando quando abbiamo deciso che sarebbe stata una buona domanda iniziale? Nella mia testa c’è il neurone-translator che con una manina all’orecchio che indossa la sua cuffietta da traduttore simultaneo, mi traduce “ciao, come stai?” con “ciao, ti spogli?”. Ovvio che dico di no, a meno che non sia in un contesto appropriato e/o davanti ad una persona con la quale mi sento al sicuro.
Il soffitto oggi come ieri mi fa immaginare una vita in cui non sono bloccata. Solo che ieri c’era lo stretto e l’ignoto, oggi ci sono intoppi momentanei, pandemie e il grande villain della season, ossia me stessa. My head is a jungle, dice la canzone che ho deciso di far partire in sottofondo, così diversa da quelle che mettevo sul lettore cd da adolescente. Thanks for making me a fighter, cantava la Aguilera e io sentivo tutta quella voglia di sfondare il mondo. In teoria. Adesso siamo qui, io e i miei ottomila pensieri al secondo, a farci tutti delle domande. Così tante da arrubbare tutta la capacità di CPU e RAM. Anna.exe non risponde.
Come stai? Non lo so.
Sto così. Così come? Boh.
Sono temporali, momentanei, come quello che è appena passato su Milano in queste ore. E le nuvole e la pioggia e l’odore del maltempo sovrasta la città. Piove tutto. E piovo io.
Arrivano alcune notifiche, alle quali rispondo. Decido di parlare con un’amica. A un certo punto lei mi dice:
prima mia madre teneva Netflix in pausa mentre stirava
col sottotitolo
"we're all going to die" e un tizio in mezzo al mare
e l'ho trovato così appropriato
Ci diciamo da un bel po’ che ce la faremooooohh urlando dai balconi. Inventiamo hashtag con #andràtuttobene. Però poi vedi il mondo andare avanti, te rimanere ferma e ti chiedi quando riuscirai a chiudere tutte le tab aperte nel cervello e iniziare a gestire i processi. Ci sono giorni in cui, indipendentemente da cosa fai, il programma non risponde. E puoi circondarti di amici, uscire a fare una passeggiata, riflettere sulla bellezza della natura, guardare i bambini giocare sorridendo. Fare delle bellissime chiacchierate.
Ma quando torni a casa abbracci il cuscino e lo stringi forte, perché piove dentro.
In questo caso tutti ci diranno che dobbiamo aspettare l’arcobaleno. Ma aspettare significa mettersi in una posizione di attesa, appunto, di qualcosa di “migliore”. E se questa attesa si protrae nel tempo, potrebbe essere molto frustrante vivere il nostro oggi un po’ “meh”.
Quindi bisogna vivere. Vivere la pioggia. Vivere la tristezza. Il pianto da drama queen. La disperazione. Il dolore. Gli stati confusionali. Viverli perché vale la pena vivere anche questi, senza attese di momenti successivi. Vivere queste giornate un po’ grigie così come sono, ci permette di dare loro il giusto peso e di godere di cosa abbiamo intorno, senza già riempire di aspettative un domani pieno di cose wow che però potrebbe essere lontano.
Concediamoci di stare un po’ di merda e di dirlo a chi ci vuole stare vicino. Anche questi pensieri, tanto, are all going to die.
Questa non-puntata della newsletter è dedicata a Cristina, Andrea, ai dinosauri, alla mia ship e alla spillatrice.
Dopo aver parlato con Cristina, che mi ha consigliato anche cosa guardare, dopo cena mi sono messa ad ascoltare la pioggia, sistemare i piatti e cantare.
Oggi va così. Oggi sono io.
Avete letto anneddoti, la vostra sconosciuta dell’internet preferita che si è sfogata e nella prossima puntata vi parlerà di privilegio. Intanto, continuerà a farsi i film mentali con questa intro suonata da lei al kazoo. Se volete seguirla da altre parti: Facebook, Instagram, Telegram, posto in cui darle dei soldi.